L’Inter ai piani alti della classifica: utopia fino al 2006, una certezza da quell’anno in poi. Chissà se è solo per questo motivo che tanti addetti ai lavori continuano a considerare la squadra nerazzurra una delle più serie candidate al titolo finale.
Spiccano su tutte le parole di Carlo Ancelotti, prima carnefice e poi vittima delle due fasi interiste, che sulle pagine de “La Gazzetta dello Sport” continua a inserire l’Inter nel novero delle favorite per lo scudetto. Convinzioni simili per Mario Beretta, in passato parodiato dal grande rimpianto Josè Mourinho, che attribuisce alle assenze e alle iniziali difficoltà nell’assimilare i nuovi schemi le principali cause del momento di defaillance. Ma “ci sono tutte le qualità per lottare per lo Scudetto”. E’ davvero così?
L’impressione è che gli anni di dominio nerazzurro abbiano lasciato un qual certo timore reverenziale all’interno del mondo calcistico del nostro paese. Lo squadrone che vinceva scudetti a frotte, una Champions League, un Mondiale per club e coppette varie per mancia non c’è più. E soprattutto non ci sono più i valorosi condottieri che l’hanno guidata.
Mancini, per quanto ipercriticato, aveva dato comunque una precisa identità alla squadra e il successivo vagabondare di Ibrahimovic ha dimostrato che è difficile costruire intorno a lui una squadra che giochi meglio.
Di Mourinho si è già detto fin troppo. Non è solo la sua perfezione tattica a farsi rimpiangere, ma soprattutto la sua personalità smisurata. Il portoghese ha portato la mentalità che mancava almeno dai tempi del Trap. Ha trasformato campioni affermati in umili combattenti.
Ora a San Siro scende in campo un gruppo di ‘primedonne’, altezzose e appagate. Se gli addetti ai lavori credono allo scudetto nerazzurro, non la pensano allo stesso modo i tifosi. Ma dategli un condottiero e la speranza tornerà viva.
Giovanni Cassese