Ben al di là dello sfottò, oltre la decenza, con due piedi nell’ignoranza i due “signori” in questione portano in sfilata una bandiera nerazzurra che rappresenta il retro di una maglia da gioco, con il nome di Facchetti ed il numero che nella smorfia napoletana significa “morto che parla”. Nelle ultime ore si fa un gran parlare di ciò, anche in seguito all’esposizione di uno striscione esposto a Napoli dalla curva degli azzurri contro Fabio Quagliarella che ne riprende il concetto, attenuandone i toni: per i suoi ex tifosi, Quagliarella rappresenta il numero 71, ovvero “l’uomo di m….”.
Inutile stare a sottolineare l’abisso che passa dall‘ironia azzurra alla volgarità bianconera. Perché parliamo di ciò, allora? Semplice: per rendere ancora più evidente ai due “eroi” la bassezza del loro gesto, il tentare di infangare la memoria di un uomo che al calcio italiano, e non solo all’Inter, ha dato tutto prima da sportivo e poi da dirigente. Un gesto tanto volgare e infamante che ci aspettiamo porti ad una reazione contraria all’intento: unire quante più persone possibili nella sua condanna. E poi, lo sappiamo, ormai le telecamere sono ovunque, negli spogliatoi, negli stadi, all’esterno. E dove non arrivano le televisioni, ecco i telefonini pronti a riprendere tutto quello che accade nelle immediate vicinanze e a postare il peggio del peggio sulla rete. Proprio quello che la Polizia Postale si aspetta di veder segnalato.
This post was last modified on 30 Novembre 2011 - 19:54