Vedi Napoli e poi… lentamente muori!

Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia giocatori ormai alla frutta con talento fresco, chi non rischia, chi si affida solo a chi conosce.

Lentamente muore chi evita una passione, chi trascura la dedizione di tifosi che finalmente hanno imparato ad essere tali, riversando sulla squadra entusiasmo e fiducia, grati nella memoria di emozioni che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno battere il cuore davanti agli errori che hanno caratterizzato e stanno tornando a caratterizzare la storia di questa società.

Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, come quel Wesley Sneijder, un tempo (ormai lontano) delizia per il popolo nerazzurro, oggi nevrotica croce, emblema dell’involuzione interista dell’anno nuovo, quello che avrebbe dovuto segnare la rinascita dell’orgoglio nerazzurro piuttosto che quella delle umiliazioni degli anni ’90.

Lentamente muore chi non rischia la certezza, o presunta tale, per l’incertezza, chi finge di inseguire un sogno, ma non ha neanche ben chiaro quale esso sia e si aggrappa a una serie di obiettivi, che a fronte dell’ambiziosità di settimana in settimana decrescente, diventano volta per volta sempre più utopici.

Lentamente muore chi non viaggia, chi non guarda partite, chi non cerca talenti, e quando prova a farlo porta a casa solo calciatori mediocri come Jonathan.

Lentamente muore chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare, chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna, dimenticando che proprio governando la società in questo modo ha lasciato per anni i tifosi nerazzurri in balia degli sfottò altrui, con la voglia di rialzarsi che tentava invano di sovrastare il senso di vergogna che gente come Gresko gli regalava.

Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, o chi il progetto non può neanche iniziarlo perché non ha mai pensato di redigerlo, ritenendo che l’unico modo per dare una svolta alle proprie sorti dopo l’addio di un mago dei dettagli come Josè Mourinho fosse lasciarsi andare al caso e alle illusioni, piuttosto che alle speranze.

Abbiamo evitato la morte a piccole dosi. Ora soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

Ci perdoni Martha Medeiros per l’abuso, ma se da anni il suo fantastico pezzo viene erroneamente attribuito a Pablo Neruda, forse ci possiamo permettere di appropriarcene per una volta per aiutarci a trovare parole per una squadra che non ne merita.

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