La partenza di José Mourinho nell’estate 2010 ha segnato la fine di un’era costellata di vittorie, iniziata con Roberto Mancini e poi continuata e portata all’apice dal vate di Setubal. Si sa, nel calcio i cicli iniziano e finiscono, così come ogni cosa nella vita. Ma la fine di questi non implica la fine di una squadra e la ricerca di nuove ambizioni.
E’ un po’ quello che ha fatto l’Inter in questi ultimi due anni, vivendo sullo slancio dei trofei conquistati in giro per il mondo. Uno slancio che ora è definitivamente esaurito. L’assenza di un progetto e la mancanza di fiducia negli allenatori che sono succeduti a Mourinho, sono le colpe principali di un dirigenza che sembra aver perso la bussola. Soprattutto Benitez e Gasperini, sono stati abbandonati al proprio destino praticamente dal primo giorno di lavoro, a partire dal mercato estivo, su cui il pensiero e le richieste di questi due allenatori non sono mai stati presi in considerazione. Leonardo e Ranieri sono stati più aziendalisti, soprattutto il tecnico romano, dato che quello brasiliano, nel mercato di gennaio 2011, ottenne un paio di rinforzi di livello. Vediamo, allenatore per allenatore, i motivi del loro fallimento in nerazzurro.
RAFAEL BENITEZ Il tecnico spagnolo arriva in nerazzurro con un curriculum di tutto rispetto, con i due campionati spagnoli vinti a Valencia e la Champions con il Liverpool che hanno rappresentato l’apice della sua carriera. La squadra che gli viene consegnata nelle mani è praticamente la stessa dell’anno precedente, con i giovani Biabiany e Coutinho a sostituire l’unica partenza eccellente rappresentata da Balotelli. Benitez aveva chiesto Mascherano e Kuyt per continuare a vincere, ma non arrivò nessuno dei due. Alla prima uscita ufficiale, arriva il primo trofeo: i nerazzurri si impongono infatti sulla Roma per 3-1, grazie alla rete di Pandev e ad una doppietta di Eto’o, aggiudicandosi la Supercoppa Italiana. Meno fortunato è, sei giorni dopo, l’esordio a livello internazionale: l’Inter, infatti, esce sconfitta 2-0 contro l’Atletico Madrid nell’incontro valevole per la Supercoppa UEFA. Dopo il Mondiale per Club vinto a dicembre, con conseguente intervista vulcanica dello stesso Benitez, il tecnico spagnolo viene esonerato in favore di Leonardo.
LEONARDO Il brasiliano ex Milan arriva a sorpresa sulla panchina dell’Inter subito dopo Natale. Aziendalista, gode della stima del presidente Moratti, che nel mercato di gennaio gli regala Pazzini, Ranocchia, Nagatomo e Kharja. Derby e Schalke 04 a parte, Leo fa il suo, ma abbandona la barca a fine stagione per motivi tuttora poco chiari. Conquista una Tim Cup e reggiunge la qualificazione Champions arrivando secondo in campionato alle spalle del suo Milan. Bravo a tenere unito lo spogliatoio, sfruttando al massimo il potenziale della rosa e soprattutto di Samuel Eto’o, meno a gestire i big match decisivi.
GASPERINI In un’estate piuttosto convulsa, marcata dall’addio inaspettato di Leonardo, Gasperini viene chiamato per rinnovare l’Inter. La scelta non viene completamente avallata da Moratti che alla fine si convince a consegnare la panchina della sua Inter al tecnico di Grugliasco. Sin dall’inizio si intuisce il loro scarso feeling. L’intenzione societaria, era quella di tenere Eto’o e vendere Sneijder perché non adatto al gioco di Gasperini e, alla fine, viene fatto l’esatto contrario. Forlan e Zarate vengono ad adattarsi sui fianchi di Milito, ma i risultati non sono certo positivi. Per Gasp, 4 partite ufficiali, 3 sconfitte e un pareggio. Fatale l’ecatombe di Novara, che segna il suo esonero. Il periodo Gasperiniano, rappresenta chiaramente la confusione in casa Inter.
RANIERI Il tecnico testaccino parte bene inanellando una serie di risultati utili consecutivi che porta l’Inter a ridosso delle prime posizioni in Serie A e agli ottavi di Champions League. Per completare l’opera, anche lui chiede interventi nel mercato invernale. I rinforzi arrivano ma non quelli richiesti da Ranieri e, come se non bastasse, viene ceduto il metronomo della squadra: Thiago Motta. Da metà gennaio in poi praticamente solo sconfitte fino all’ultima, quella di Torino contro la Juventus, costatagli la panchina. L’aggiustatore inizia con il piede giusto, poi tracolla senza l’appoggio di una società ormai inesistente.