Cagliari-Inter ha messo in luce gli atavici difetti dei nerazzurri, quelli che solo l’eccitazione della prima volta di Stramaccioni potevano nascondere. Ma non eliminare. Il gioco fluisce lento e sconnesso perchè Zarate e Forlan non sono esterni d’attacco, Stankovic non è un regista e Chivu e Zanetti non sono terzini di spinta. Il modulo fallisce, come sarebbero falliti tutti gli altri. Perchè per alcuni dei citati il problema ora come ora non è l’adattamento al modulo, ma molto più semplicemente l’adattamento al gioco del calcio. L’Inter di Stramaccioni si conferma la squadra del paradosso e quindi le cose migliori arrivano dai peggiori: assist al bacio dei peggiori in campo Zarate e Forlan, reti di esperienza (almeno quella…) degli “affaticati” Milito e Cambiasso.
Parimodo paradossale è l’ambientazione della discutibile messinscena, quella Trieste casa – ma non troppo – dei sardi per un giorno, si spera. Marc Augè avrebbe definito il “Nereo Rocco” un nonluogo, un ambiente inizialmente destinato ad altro uso e in cui i giocatori interagiscono – ma non troppo – senza creare delle vere trame. La rosa nerazzurra, emblema della precarietà e saldamente ancorata al presente, renderebbe il sociologo francese fiero per la fedeltà con cui Branca e soci nella costruzione della squadra si sono ispirati alle sue teorie.
Quando Pazzini arriva a un passo dalla rete della vittoria, per un attimo ogni tifoso nerazzurro ha pensato alla più classica delle sorprese di Pasqua: una blasfema risurrezione di un bomber in crisi e di una squadra in declino. Ma ci tocca accontentarci di un amarissimo uovo di Pasqua senza sorpresa.
Ci tocca rassegnarci a una stagione senza sorpresa.
This post was last modified on 8 Aprile 2012 - 16:58