“Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”. Ci permettiamo di prendere in prestito gli immortali versi di De Andrè per parlare del fantastico giardino incantato che l’Inter ha saputo coltivare ieri sera all’interno di questa disastrosa stagione. Il pollice verde di Stramaccioni guida Milito e i suoi alla vittoria più bella dell’anno. A qualcuno piangerà il cuore per il risveglio in campionato così dilazionato. Ma per oggi possiamo accontentarci di un poker al Milan, per cui non è mai troppo tardi. E pazienza se lo scudetto va alla Juventus. Odiamo ripeterci ma talvolta anche “dal letame nascono i fiori“.
In ogni serata magica che si rispetti tutto si trasforma. Rizzoli trasforma entrate regolari in rigori e rigori in entrate regolari, ben inquadrato, almeno speriamo, dalla fotocamera del telefono di Galliani. Stramaccioni dirige da grande allenatore contro l’allenatore più pagato della serie A, in una versione mal interpretata di Davide contro Golia. L’Inter domina, cade sotto i colpi scorretti rossoneri e si rialza con veemenza, annullando tutte le fonti di gioco milaniste: gioca da grande squadra, quella che quest’anno non era mai stata.
E’ incredibile come anche un’impresa come una tripletta nella stracittadina non faccia comunque dello straordinario Milito il protagonista assoluto della gara. A vincere il derby è la forza del collettivo nerazzurro guidato da Stramaccioni, abile nel raccogliere tutti i fiorellini, appassiti e nascosti, persi lungo il tortuoso cammino di questa stagione per farne uno spettacolo di armonia e coesione: dalle sgroppate di Maicon e Zanetti alla supremazia del centrocampo di Cambiasso, finalmente nel suo ruolo, e Guarin, dominante finchè il fisico gliel’ha permesso; dal coraggio di Samuel, immolatosi a più riprese sui tentativi rossoneri, al talento lampante di Sneijder e Alvarez, passando per gli innesti decisivi di Obi e Pazzini. Tutto funziona alla perfezione. Tutto, come in ogni favola, contribuisce alla sconfitta dei “cattivi”, guidati da un popolano con velleità da principe e un mercenario col mal di pancia, che non trova la vittoria contro Lucio e Samuel nemmeno nell’unica partita in carriera in cui questi gli hanno fatto sfiorare il pallone.
Se si aggiunge alla cronaca la patetica pantomima di un Muntari inspiegabilmente ingrato verso i colori che hanno regalato ogni tipo di vittoria anche a uno scarpone come lui, il derby perfetto è servito. O quasi.
E’ mancato solo il gol di Cordoba, celebrato (lui sì) come merita ogni capitano, anche se solo per qualche partita, a fine carriera. Ma i miracoli è meglio tenerli in serbo per l’anno prossimo.