In una lunga intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport in edicola giovedì 29 novembre, Massimo Moratti ha fatto chiarezza su alcuni casi che stanno coinvolgendo l’Inter in questo periodo. Su tutti, quello relativo a Sneijder, il quale per ora non ha accettato la proposta dei dirigenti nerazzurri per un nuovo contratto: “Caro Sneijder, non è mobbing. Non so se rimarrà“. Queste le parole del patron nerazzurro, che di fatto apre a una possibile cessione del trequartista olandese già a gennaio. Poi, c’è spazio anche per parlare di un possibile ritorno di Mario Balotelli:“Lui non arriverà“.
Il massimo dirigente nerazzurro, analizza la sconfitta di Parma, raccontando la reazione di Stramaccioni: «Tranquillo no, ma lui è così, vive le cose con la giusta tensione: quella di fare bene. Mi fido di lui perché ha il senso della realtà, sa vivere in mezzo ai giocatori e non si ferma al dispiacere, se qualcosa non va. E’ già lì che studia la soluzione per correre ai ripari e non entrare nel vortice di una continuità negativa: è il primo a sapere che nulla va dato per scontato».
Dopo la trionfante trasferta di Torino, l’Inter ha collezionato appena un punto in tre partite: «Credo sia dipeso dalla stanchezza per un calendario molto fitto, dagli infortuni – e non è un alibi – e anche dal fatto che quando tutto va bene subentra una sicurezza che può finire per inguaiarti: non bisogna mai crederci troppo, perché se poi arrivano le sconfitte è più difficile accettarle, non si capisce bene perché si perde. E la cosa grave di lunedì è non solo che abbiamo perso, ma che si è capito che al massimo avremmo pareggiato».
Visti i parecchi infortuni, qualcuno pensa già a quale rinforzo nel mercato di gennaio: «Questa squadra è stata più rinforzata rispetto all’anno scorso, con l’obiettivo di far bene: non significa scudetto – ma facendo bene può succedere – ma avere una forte crescita, nel rispetto di una congiuntura economica da non trascurare. Non va sbagliata l’impostazione programmatica: la squadra in linea di massima sarà questa, perché se puntando su grandi campioni non si risolvono certi problemi, si rischia solo di avere un problema in più».
Ormai sono mesi che si parla di Paulinho: «Stramaccioni è un tecnico che sa adeguarsi a far bene con quello che ha, che non è poco. Paulinho è bravo, ma il nostro obiettivo deve essere valorizzare e avere fiducia in chi ancora non si è espresso come potrebbe: tipo Alvarez, Coutinho, Pereira, lo stesso Guarin. Mi chiedono anche di Balotelli, ma non credo che tornerà».
Il caso Sneijder pare esser diventato davvero spinoso: «Anzitutto una cosa: parlare di ricatto o di mobbing dell’Inter è voler vedere per forza male le cose. Sneijder non gioca anzitutto perché l’allenatore non lo vede integrato al massimo, soprattutto dal punto di vista psicologico, con la mentalità della squadra. Tutto il resto è questione di libertà reciproca: per noi è stato naturale cercare di trovare un modo per non essere costretti a venderlo, lui ha il diritto di non accettare la nostra proposta. E se la situazione rimarrà tale, la soluzione sarà inevitabile cercarla sul mercato».
Dopo Inter-Cagliari uscirono dichiarazioni molto pesanti: «Calciopoli è talmente presente nell’immagine del nostro calcio degli ultimi dieci anni che non serve rievocarlo: però non va neanche dimenticato, perché altrimenti non impariamo niente. Però Calciopoli era una cosa talmente complicata, “organizzata”: no, quel giorno mi riferivo a distrazioni, cattiva forma, forse anche antipatia – ci sta di essere antipatici, e lo dico senza vittimismo – e sfortuna: il problema è che l’Inter era stata un po’ troppo sfortunata. Non lunedì a Parma, dove abbiamo perso e l’arbitro è stato bravissimo».
Moratti poi, spiega la situazione che vede l’Inter in trattativa con i cinesi: «Si sono incartati per le loro regole, ma essendo grandi società con manager intelligenti è doveroso avere ancora speranza e pazienza».
Intanto, Mourinho continua a pensare all’Inter con nostalgia: «E’ un affetto reciproco e sono convinto che il suo sia autentico. In fondo fu bello anche che fosse un’esperienza, diciamo così, fulminante e quando se ne andò mi disse: “Ma lei perché continua a fare il presidente? Nella mia carriera non ho mai avuto tanta difficoltà nei confronti delle istituzioni”. Aveva addosso un’infinita fatica di vincere ed era impossibile non capirlo: l’ho sentita così tante volte anche io».