Fine luglio dell’anno 1995, ritiro di Cavalese. Zanetti, non ancora 22enne, si presenta insieme al connazionale Rambert, portando in mano un sacchetto di plastica del supermercato: cosa c’era dentro?
“Un paio di scarpe da calcio, che mi ero portato dall’Argentina: avevo solo quelle”.
Adesso quante paia ne ha, più o meno?
“Diciamo più di un paio”.
Che fine ha fatto Rambert lo sa?
“L’anno scorso era il vice di Ramon Diaz, che però adesso al River si è portato il figlio: non so cosa stia facendo ora”.
E cosa fece lei il giorno del suo diciottesimo compleanno lo ricorda?
“Una grigliata a casa, con degli amici. Quel giorno non mi allenai: uno dei pochi giorni della mia vita di calciatore senza allenarmi”.
Quarant’anni: che età è, e come la immaginava quando era molto più giovane?
“Ho iniziato da poco a provare ad immaginarla e credo che sarà un momento stupendo: avrò tre figli a festeggiare con me, saremo a Como che è ‘il nostro posto nel mondo’, come lo chiama mia moglie Paula, e sarò felice anche perché starò ancora giocando nell’Inter”.
Dunque è già deciso: giocherà un altro anno?
“E’ la mia intenzione e credo sia anche quella dell’Inter: tutto va in questa direzione”.
Quando ha deciso?
“Non è stata una cosa di un giorno, ma è successo nel periodo delle dieci vittorie consecutive. Mi veniva da chiedermi spesso: ‘Ma perché non continuare, se pensi di poter dare ancora una mano a prescindere da quanto giochi?‘”.
Non sono troppi 40 anni per giocare ancora?
“Sono tanti ma non troppi, se ti senti ancora bene e ancora utile”.
Dunque la “famosa” targhetta già pronta per essere attaccata fuori dalla sua stanza in sede non servirà prima del 2014?
“Non esiste già nessuna targhetta e, nel caso, credo sia più facile che quella stanza sarà alla Pinetina, piuttosto che in sede. Qualunque cosa farò, vorrei stare il più vicino possibile alla squadra e poi magari rappresentare la società in appuntamenti particolari. Tanto con Luis Figo non c’è pericolo di pestarsi i piedi”.
Un vice presidente sta abbastanza vicino alla squadra?
“Non so, questo bisogna chiederlo a Moratti”.
Ma è lei uno di quelli che ci parla di più, no?
“Meno di quanto si pensi: capita se viene alla Pinetina, o se devo parlargli per qualche esigenza personale o di squadra. Ma non sta scritto da nessuna parte che siccome uno è capitano deve parlare tutti i giorni con il presidente, o deve essere consultato per questioni di mercato”.
Beh: qualche volta sarà successo…
“Ho dato qualche parere, soprattutto se si trattava di connazionali: anche qui, molto meno di quanto si pensa”.
Ha… sulla coscienza Alvarez?
“Ricky secondo me non ha deluso: ha fatto fatica a trovare continuità. Avesse potuto giocare dieci partite di seguito, oggi di lui diremmo altre cose. Purtroppo si è infortunato spesso, ma non dite che è molle: vuole sempre la palla e anche se San Siro non è uno stadio facile, non ha mai avuto paura di continuare a chiederla”.
Può aiutarlo cambiare un po’ aria?
“Io credo che a fine gennaio sarà ancora con noi, poi a fine stagione si tireranno le somme”.
Torniamo ai suoi pareri e supponiamo che gliene sia stato chiesto uno quando si trattò di cedere Balotelli: i fatti danno ragione all’Inter?
“Di Mario nessuno ha mai discusso le qualità, ma i comportamenti: quelli mi pare non siano cambiati granché, anche dopo che se n’è andato dall’Inter. Evidentemente non dipendevano da noi e non so se si possa ancora dire che all’Inter non è stato capito, o aiutato”.
Dunque con Moratti parla solo ogni tanto. E con Stramaccioni?
“Tanto, almeno quanto con Leonardo, che però era un amico già da ben prima che arrivasse a guidare l’Inter: sono i due allenatori con cui mi sono confrontato di più, anche se succedeva spesso anche con Mourinho e con Simoni c’era un rapporto altrettanto stretto, pur se non fondato su un dialogo così continuo”.
Che cosa ha Stramaccioni di Simoni, Mourinho e Leonardo?
“Di Simoni la volontà di costruire un gruppo così unito e l’insistenza nel coltivarlo. Di Mourinho la furbizia, in senso buono: in certe cose, come si dice, il mister è avanti. Di Leo la positività e la fiducia anche nelle difficoltà”.
Vigilia di Inter-Siena, la prima volta che quest’anno Stramaccioni le ha dovuto dire ‘Domani non giochi’: era terrorizzato?…
“Finora non è successo spesso: a luglio avrei pensato un po’ di più, sinceramente. Ma sì, dai: quel giorno un po’ preoccupato era, si vedeva dalla faccia. Gli ho detto ‘Mister, zero problemi’, ma lo sapeva già: a luglio gli avevo assicurato che con me non ne avrebbe mai avuti”.
Gli ha assicurato anche che non si pentirà di avervi dato vacanze così lunghe?
“A parte che a luglio siamo stati la prima squadra ad aver iniziato la preparazione, non è vero che giocheremo Udinese-Inter dopo quattro giorni di allenamenti e basta perché non ci arriveremo dopo dieci giorni di vacanza e basta: il preparatore ci ha consegnato dei programmi di lavoro e sono sicuro che la maggior parte del gruppo li avrà rispettati”.
E come mai quest’anno non avete proposto come l’anno scorso un’automulta, nel caso di ripresa del campionato deludente?
“L’anno scorso non avrei giurato sul fatto che la maggior parte del gruppo avrebbe lavorato bene anche in vacanza: quest’anno sì”.
Sneijder lo mette in quella ‘maggior parte del gruppo’? Come finirà questa storia?
“L’unico che può decidere è lui e dovrà parlare chiaro ed essere sincero: se vuole restare, una soluzione si trova. Gli ho detto: scegli con il cuore. Sa che il gruppo non lo ha mai lasciato solo”.
Ma se anche decidesse di restare, non c’è il rischio che sia troppo tardi? Che gli ultimi mesi abbiano lasciato segni troppo profondi?
“Se torna e ci dice ‘Guardiamo avanti per il bene dell’Inter’, non ci sarà problema. Ma dev’essere lui il primo a non portare rancori”.
Dai rancori ai rimpianti: perché avete fatto solo 8 punti nelle ultime sette partite?
“Di sicuro non perché ci siamo rilassati dopo la vittoria di Torino, ma semmai per la corsa fatta prima di quella partita. E poi, sintetizzando, per stanchezza, infortuni e un po’ di sfortuna”.
Gli arbitri li lasciamo stare?
“Io lascerei stare i vittimismi, ma non una constatazione: alla terza squalifica senza rosso diretto, Ranocchia dopo Cassano e Guarin, pensi che un po’ di buon senso in più non guasterebbe”.
Da capitano, dirà ai compagni di tapparsi di più la bocca?
“Ne abbiamo già parlato fra noi, ma sinceramente non ci sentiamo una squadra così maleducata con gli arbitri. Anzi, sappiamo per certo che c’è chi ha fatto peggio di noi e allora è inevitabile pensare a due pesi e due misure, farsi venire il sospetto che certe regole valgano solo per noi. Così è un po’ troppo, dai”.
Troppi anche i 9 punti di vantaggio della Juve?
“Un bel vantaggio, ma nel calcio non si sa mai. A un patto: che pensiamo solo a fare di tutto per ritrovarci a fine campionato fra quelle che giocheranno la prossima Champions e non a quanti punti dobbiamo recuperare alla Juve”.
Ma fare l’anti-Juve è così un peso?
“No, se non dichiari di esserlo: non mi pare che nessuno di noi lo abbia mai fatto. Con quel passo, la Juve merita di essere prima. E se vanno avanti così, tanto di cappello”.
Se Messi va avanti così raggiungerà Maradona?
“Credo lo abbia già fatto, perché le cose che fa, le fa da tre-quattro anni di seguito. Non mi lascia a bocca aperta solo per quello che mostra in campo, ma perché non riesco a dire dove potrà arrivare: uno così non ha un tetto”.
Detto da centrocampista, all’Inter serve un centrocampista? E detto da argentino, può essere Schelotto quello giusto visto che Paulinho sembra un sogno lontano?
“Un centrocampista ci può far comodo e Schelotto può essere un buon cambio per gli esterni, oltre che uno che dà cambio di passo. E trattare con l’Atalanta può essere più facile che con il Corinthians, anche perché mi pare che Paulinho non sia così convinto di spostarsi subito: più facile riparlarne fra sei mesi”.
Rocchi è un buon rinforzo per l’attacco?
“Una punta intelligente, soprattutto quando va in profondità. E poi conosce bene il calcio italiano: è l’alternativa che ci serviva, sperando che arrivi davvero”.
Servirà anche a Milito e Palacio per sentire meno il peso delle responsabilità?
“Credo che loro siano stati i più penalizzati dalla nostra perdita di brillantezza, di fluidità del gioco, di capacità di creare occasioni. Diego forse ha pagato un po’ anche la stanchezza: per come sente e gioca le partite, è uno che spende sempre tanto. Rodrigo forse non era abituato a giocare così spesso, ha avuto bisogno di tempo per adattarsi alle esigenze di una squadra come l’Inter”.
Ce lo racconta un segreto mai rivelato di questi suoi anni italiani?
“Voi che parlate sempre dei miei capelli e di come sono sempre perfetti, lo sapete che da 18 anni il mio parrucchiere – si chiama Marco – è un milanista sfegatato?”.
This post was last modified on 3 Gennaio 2013 - 14:00