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Termina con un pareggio che fa piacere soprattutto ai nerazzurri la sfida tra Roma e l’Inter, il confronto tra l’utopia dell’eterno incompiuto Zeman e la concretezza del giovane con la testa sulle spalle e l’occhio al risultato, il condottiero di questa Inter operaia Andrea Stramaccioni.

Reduci dalla maratona di Coppa Italia col Bologna, ridotti ai minimi termini a causa degli infortuni, i nerazzurri escono indenni dallo Stadio Olimpico, capitalizzando un finale di primo tempo in crescendo e arginando l’ondata iniziale prodotta da un’arrembante Roma, capace di produrre venti minuti di grande intensità e spaventare la rimaneggiata compagine interista e passata in vantaggio grazie a un calcio di rigore generoso – eufemismo – decretato dall’arbitro Orsato di Schio.

Decisamente più agevole la ripresa, coi giallorossi apparsi sulle gambe e appesantiti anch’essi dalla partita infrasettimanale di Coppa Italia: coi ritmi più bassi l’Inter non ha mai dato la sensazione di poter soccombere, malgrado due ghiotte palle gol capitate sui piedi del mediocre terzino giallorosso Piris e una parata in allungo dell’ottimo Handanovic.

Stramaccioni, smentendo le previsioni della vigilia, dà fiducia a Marko Livaja, non rinunciando alle due punte, supportate da Fredy Guarin, autore di un’ennesima prestazione da sette abbondante in pagella: il croato, spaesato in avvio, si scrolla ben presto di dosso la paura e ingaggia un duello a suon di sportellate col roccioso Castan, impreziosendo la positiva prova con una giocata d’alta scuola, stop di petto e sinistro al fulmicotone, infrantasi sul palo – ancora un palo – presidiato dall’istrionico Goicoechea.

Ad affiancare il 19enne di Spalato l’anima gemella di Guarin, Palacio: poco appariscente, sempre pericoloso sulla fragile linea del fuorigioco predisposta da Zeman, l’argentino alla prima palla utile, a 45esimo scaduto, sfrutta l’assistenza di Guarin e sigla quello che si sarebbe rivelato il gol del definitivo 1-1. Nonostante il buon apporto di Chivu, la manovra scorre a ritmo irrimediabilmente lento, complici le pessime prova di Nagatomo e Pereira, incapaci di sfruttare la debolezza dei dirimpettai Piris e Balzaretti, lontano parente dell’affidabile terzino di quest’estate in maglia azzurra; la palma di migliore del pacchetto arretrato se la aggiudica un autoritario Juan Jesus, coadiuvato da un Ranocchia punito oltremodo dalla decisione di Orsato in occasione del calcio di rigore (su Bradley il presunto fallo). Opaco, non una novità, Gargano, incapace di dare ordine e inefficace anche in fase di interdizione.

Al di là del giudizio sui singoli, quello che emerge è la voglia e il carattere con cui l’Inter ha cercato e ottenuto il risultato positivo in condizioni di emergenza: con le unghie, coi denti, col cuore, assecondando i desideri di mister Stramaccioni, proprio mentre un pezzo di cuore della tifoseria nerazzurra decideva di abbandonare la nave, imbarcandosi verso Istanbul, sponda Galatasaray.

Addio Wes, grazie di tutto, malgrado la triste telenovela che ha posto fine alla storia d’amore con la Beneamata e malgrado un saluto che sarebbe potuto essere meno amaro e all’altezza della luna di miele vissuta nell’anno del Triplete. Ripenseremo a quell’anno con malinconia. Riguarderemo tutto quello che è venuto dopo con la consapevolezza che in fin dei conti non ci mancherai.

Giovanni Cassese

(Twitter: @vannicassese)

This post was last modified on 22 Gennaio 2013 - 16:53

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redazione