“Adesso, se ci penso, il fatto che sia un tifoso del San Lorenzo (ndr, squadra argentina nella quale Cordoba ha giocato dal 1998 al 2000) mi fa impressione. Per noi avere un Papa sudamericano significa tanto. In Colombia, in sudamerica, una persona che sta veramente in difficoltà non ha niente, assolutamente niente. In Italia, in Europa le persone adesso stanno vivendo un momento di crisi, ma hanno avuto la possibilità di assaporare qualcosa di più. In Colombia no e un Papa sudamericano dà a loro, a queste persone anche solo una possibilità di sperare in qualcosa di più e accrescere la loro fede, che è ciò che vale più di tutto, soprattutto per un popolo come il nostro che è molto cattolico. Io trovo che questo sia bellissimo”.
Anche di rimpianti si parla con Cordoba: “Se proprio dovessi cercare qualcosa nella mia bellissima carriera direi che mi sarebbe piaciuto essere in campo nella finale di Champions League a Madrid o comunque che avrei voluto giocare altre partite che ho dovuto saltare per infortunio o per scelte tecniche, ma fa tutto parte della mia storia all’Inter e visto che io faccio fatica a trovare qualcosa di negativo in quest’esperienza allora dico nulla. Qualche successo meritato negli anni in cui accadevano delle cose strane? Lì non eravamo nelle mani del destino e se qualcosa fosse andato diversamente, quei successi sarebbero arrivati”.
Si parla poi del suo connazionale, Juan Fernando Quintero: “E’ molto forte, mancino, l’avete visto, è tra quei pochi giocatori che si vedono con quelle caratteristiche. Credo abbia un futuro grandissimo, speriamo sia all’Inter (ndr, sorride). Convincere Falcao? Non sarebbe difficile convincerlo, io lo conosco da un po’, abbiamo parlato della possibilità un giorno di venire in questa squadra, come ne avevo parlato con Guarin. Il problema è che Falcao ha ormai raggiunto delle cifre astronomiche e siamo in un momento in cui è anche solo difficile pensare di prendere un giocatore così“.
Su quale sia stato il suo compagno di squadra più forte, Cordoba non ha dubbi: “Continuerò sempre a dire che il giocatore più forte che io abbia mai avuto come compagno di squadra è stato Ronaldo. Ne ho avuti tanti, tantissimi forti, ma lui mi è rimasto impresso. E anche tra gli avversari, direi sempre lui, ci ho giocato contro in Nazionale. Se è più forte di Messi? Sono diversi, io credo non si possa paragonare Maradona, Messi e Ronaldo perché si tratta di momenti ed epoche diversi. Però Ronaldo l’ho affrontato poco, mentre se devo ripensare a un avversario con il quale si creava sempre una bella sfida direi Shevchenko“.
Un racconto che diventa fitto di ricordi quando sullo schermo scorrono immagini di quella vittoria dell’Inter del derby contro il Milan nel 6 maggio scorso, ultima in campo dell’attuale team manager nerazzurro, al quale viene chiesto se ha in mente di programmare un’altra gara di addio: “L’ho già fatta, meglio di quella che ho giocato quando ho salutato tutti? Un’altra grande festa? Magari sì, la faremo con un asado, ma il mio ricordo di quella partita è così bello che non vorrei cambiarlo. Mi hanno chiesto anche in Colombia di fare una partita, ma faccio fatica a immaginarne a una che possa essere cosi bella come quella ultima che ho giocato al Meazza”.
Si parla poi dell’attualità e degli alti e bassi della squadra nerazzurra: “Non serve il bastone con i giocatori. Serve una via di mezzo tra quello e la carota. Semplicemente bisogna saperli rendere consapevoli della responsabilità che hanno scendendo in campo con i colori dell’Inter. In partite impossibili, come quella di ieri sera contro il Tottenham, loro riescono a tirare fuori il massimo e dimostrano la voglia di attaccarsi ancora di più a questi colori e la voglia di fare bene. Ieri la squadra ha giocato con il cuore più che con le gambe perché se non butti fuori, più che la parte fisica, la rabbia agonistica, quella cosa che fa la differenza, non cambi le cose“.
Fonte: inter.it
This post was last modified on 16 Marzo 2013 - 17:21