Il camaleonte diventava talmente solido da risultare indigesto a tutti. Soprattutto a Moratti che decide di dare il benservito al veterano per lasciare spazio al nuovo che avanza, coerentemente al progetto (o presunto tale) intrapreso dalla società. Andrea Stramaccioni, fresco reduce dello storico successo della primavera nerazzurra alla NextGen Series, paradossalmente ricorda il suo predecessore per provenienza, background e, addirittura, idee tattiche. Romano purosangue, un passato a Trigoria e quel concetto di camaleonte solido che in qualche modo rimane vivo.
L’Inter di Stramaccioni si adatta camaleonticamente agli avversari, senza rimanere ancorata a un unico assetto tattico ed è talmente solida mentalmente da recuperare calciatori che fino a quel momento erano fuori dal progetto: il fino a quel momento deludente acquisto Alvarez comincia a mostrare gli sprazzi di talento che avevano ben impressionato gli uomini di mercato nerazzurri, Sneijder gioca le ultime partite da fuoriclasse, Zarate le ultime da calciatore. L’Inter macina vittorie su vittorie e col fantastico successo nel derby, nonostante un rigore clamorosamente regalato al Milan (i corsi e ricorsi storici, ndr), arriva a un passo dalla clamorosa qualificazione in Champions League, sfumata solo all’ultima giornata di campionato.
In estate Stramaccioni, meritatamente riconfermato, manifesta l’intenzione di giocare un calcio tecnico e veloce, un nuovo progetto tattico, di cui Sneijder fosse il perno, basato su qualità a centrocampo, a rapidità degli esterni offensivi. La società lo ricompensa per il suo ottimo lavoro mettendo sostanzialmente fuori rosa l’olandese e conducendo una contorta campagna acquisti che, a parte gli ottimi Palacio e Handanovic, è caratterizzata dagli acquisti di portatori d’acqua a centrocampo, di uno strapagato terzino che risulta essere peggiore di Nagatomo e di una punta talentuosa ma sovrappeso che si piazza sull’esterno del campo non per scattare, ma per restarci.
Stramaccioni non si perde d’animo e ridisegna la squadra in modo da esaltare l’affidabile difesa e il ricco, sebbene mal assortito, reparto offensivo, riuscendo a fare miracolosamente della pressappoco nulla qualità a centrocampo un problema relativo. L’Inter infila una ranieriana serie di vittorie che culmina col più bel successo di Stramaccioni, che viola, non senza polemiche, il vergine Juventus Stadium, proprio dove il suo predecessore era caduto. Il 3-4-3 con cui sconfigge la Juventus è un capolavoro di efficacia ed equilibrio, mentale ancor prima che tecnico. Quello che non ti aspetti da una squadra allenata da uno che ha quasi tre anni meno del suo capitano.
Quando la carriera del giovane tecnico sembra in discesa, qualcosa si inceppa. Arrivano gli infortuni, gli sfortunati errori arbitrali a sfavore, ma soprattutto i primi errori di Stramaccioni. La squadra fatica a ritrovarsi e l’intonso ruolino di marcia in trasferta diventa solo un vago ricordo. L’Inter si sfibra, ma non si sfalda, rimanendo in corsa per tutti i suoi obiettivi fino alla sera in cui a San Siro contro il Tottenham sfiora comunque uno dei più grandi miracoli sportivi della storia con una rimonta che si ferma a qualche centrimetro dal suo pieno compimento.
Trecentosessantacinque giorni dopo Stramaccioni è ancora su quella panchina. Nessuno ci era stato così tanto dopo l’addio di Josè Mourinho, che in Strama rivede la grinta e la voglia di emergere di chi vive di calcio ma è fermo nel limbo di chi non fu un grande calciatore nella sua prima vita. C’è ancora una volta la Juve sulla strada. Stavolta dovrà vedersela con l’unico che è stato in grado di domarla. Avanti Strama!
Giovanni Cassese
(Twitter: @vannicassese)
This post was last modified on 27 Marzo 2013 - 12:16