Da quasi vent’anni, Javier Zanetti rappresenta il cuore pulsante dell’Inter. Capitano inossidabile di tante battaglie che hanno portato alla conquista di 16 trofei da quella lontana Coppa UEFA del 1998 fino all’ultima Coppa Italia ottenuta nel 2011 con Leonardo alla guida tecnica. Il 28 aprile, nella partita di campionato persa per 1-0 contro il Palermo, si è procurato la rottura del tendine d’Achille del piede sinistro che lo costringerà ad uno stop di circa sei mesi. Intanto, Pupi si è confessato sulle pagine di Vanity Fair, toccando diversi argomenti anche non prettamente calcistici.
Partiamo dal Papa, argentino come lei.
“È una figura magnifica, rappresenta qualcosa che va oltre il suo ruolo. È prima di tutto un uomo con un cuore grande, è questo che arriva alla gente. Ha, poi, una parola buona per tutti quelli che vede: quando ha visto per strada un bambino con la maglia del Boca, sa che gesto gli ha fatto? Tre con le dita, per ricordargli i gol che il suo San Lorenzo ha rifilato nell’ultima partita al Boca: capisce che cosa straordinaria è questa? Il calcio, serve pure a questo, per comunicare con tutti, ma proprio tutti”.
Lei crede che il calcio oggi, malgrado gli ultimi episodi di razzismo, malgrado le violenze fuori dagli stadi, malgrado un disamore diffuso verso un certo tipo di ambiente, possa ancora trasmettere valori?
“Sì, perché con il calcio si può arrivare a chiunque, e quindi si possono lanciare segnali importanti. Se si vuole crescere, e cambiare le cose che non vanno nella nostra società, allora usiamolo, il calcio: perché è un ottimo veicolo di buoni propositi. Quando è portatore sano di idee, che fanno del bene, usiamolo, perché con il calcio si arriva alla casalinga come al medico, così come al ragazzo di strada. Il calcio ha una potenza immensa, che nessun altro sport possiede. Io sono affascinato dalle donne che seguono il pallone: hanno una capacità di segnalare le cose positive che gli uomini non hanno. Mi fermano donne che intendono il calcio come metafora di vita: ecco, in Italia ho imparato che è vero pure questo. Ci sono i bambini che hanno il calcio come sogno, e noi siamo lì anche per questo”.
Lei, infatti, da molti è visto come un supereroe. Come riesce a mantenere sempre questo stile, mai una parola di troppo, mai una litigata?
“Io penso prima di tutto ai bambini, e al privilegio che vivo ogni giorno facendo questo mestiere. Cerco di trasmettere la mia fortuna, e di darne a loro. Con piccoli segnali, si cambia il mondo. La mia fondazione, Pupi, aiuta tanti bambini. Vede, il mio supereroe da piccolo era Capitan America, per via dei colori sgargianti della sua tuta, e ho sempre voluto avere i poteri che ha lui: adesso, che un po’ ce li ho, i miei supereroi sono le persone normali, che vivono con difficoltà le giornate per via della crisi, che non arrivano a fine mese. C’è gente che mi ferma e mi fa i conti del suo portafogli, io vorrei dare una mano a tutti. Ma poi capisco che sono quelli lì in alto che ci governano che devono farlo…”.
Ma negli spogliatoi si parla di crisi, di gente che perde il posto di lavoro, di attualità?
“Certo, io faccio parte della società, come lei, come tutti. Leggo i giornali, e ne parlo con i compagni. Ci sono quelli più ricettivi, e quelli meno. Con Cordoba è uno scambio continuo di opinioni sulla politica italiana, su quello che si vede nei telegiornali, perché confrontiamo anche tutto con il nostro paese. Ora è il momento di cambiare. Siamo in un punto di svolta, e la gente che ci governa deve lanciare messaggi forti, avere idee per uscire dal tunnel. Come un grande allenatore che, studiando, capisce quali mosse giuste fare in campo”.
Lei e sua moglie Paula andate al cinema, leggete?
“Sì. Ultimo film visto, Sette anime, con Will Smith. Ultimo libro letto, Fabio Volo. Ultimo cd comprato, quello di Eros Ramazzotti. Ma la cosa più importante è che siamo una famiglia, tutto qui: in una società come la nostra, dove i valori si possono perdere facilmente per le leggerezze che girano, noi ci teniamo stretti per mano, e ci facciamo forza a vicenda. La famiglia, è il nucleo da cui parte tutto; dalla famiglia esce un ragazzo che poi incontra gli amici, e fa la sua vita fuori dalla porta di casa, ma da lì deve nascere il sentimento forte e i valori buoni. Ieri, per dire, mi sono emozionato solo perché siamo andati a fare la spesa, io e Paula: allora, per ricambiare quello che provavo, ho comprato una bambola per la bambina e un pallone nuovo per Ignacio. Ecco, ora in casa di palloni ce ne saranno un centinaio: tutti camminiamo calciandone sempre uno”.
In questi giorni di infortunio, cosa ha fatto di nuovo?
“Intanto, volevo tranquillizzare i tifosi dell’Inter e dire che ho tolto il gesso, e che mi manca una settimana di appoggio con la stampella poi cerco di togliere pure quella. E voglio tornare in campo in tempo per l’inizio della nuova stagione. Sono un combattente, e quando uno ha questo spirito nell’animo non è certo un infortunio a fermarlo: ci sono cose peggiori nella vita. Poi ho fatto un corso d’inglese su Internet. I social network, no, non li uso: sono un uomo d’altri tempi”.
Che cosa pensa dell’Italia dell’ultimo periodo?
“Adesso è il momento che escano allo scoperto le persone che hanno alti principi, quelli che sono stati zitti finora, quelli che portano ventate di ottimismo, e hanno voglia di cambiare la società. Perché io, o noi calciatori, siamo parte della società, e con voi vogliamo cambiarla, in meglio. Diteci cosa dobbiamo fare, siamo qui”.