Il giovanissimo centrocampista classe 1994 ha rilasciato un’ampia intervista ad un’emittente croata, in cui si è soffermato inizialmente sull’approdo in nerazzurro e sul suo ambientamento in Italia: “E’ stato veramente un grande salto per me. E’ tutto diverso. Non voglio sottovalutare il calcio croato ma sicuramente è tutto più difficile. E’ tutto più veloce, tutto più duro, è diverso. E vale anche per i tifosi. Gli stadi sono tutti pieni ed è bellissimo giocare in queste condizioni. Per quanto riguarda la mia vita, è rimasta la stessa. Purtroppo non c’è la Messa in croato ma per il resto va tutto benissimo, vivo nel mio appartamento e a volte mi vengono a trovare parenti e amici. Sono molto soddisfatto“.
Un ruolo fondamentale nella crescita calcistica e umana di Mateo lo ha avuto sicuramente la religione, un elemento chiave in uno dei momenti più brutti della sua carriera (il grave infortunio del 2009): “Non so quanto posso parlare della mia fede. Sono stato cresciuto nella fede fin dalla più tenera età. Per me la religione è molto importante. Non posso dire di aver avuto periodi veramente difficili, a parte quando mi sono rotto la gamba. Da quel momento ho avuto uno spirito tutto nuovo, ho capito che anche nelle cose negative ci può essere qualcosa di buono. Qualche compagno mi chiama ‘chierichetto’ ma quello non è un insulto, è uno scherzo. Con alcuni di loro posso parlare tranquillamente di fede”.
Solo diciannove anni ma già tantissima esperienza per il numero 10 nerazzurro, arrivato ad altissimi livelli grazie soprattutto a chi ha creduto fortemente in lui: “Non so chi mi abbia scoperto. So che mia madre mi ha portato al primo allenamento, è lei che per prima ha capito che c’erano delle qualità in me. Devo ringraziare i miei genitori. Spesso i genitori mettono pressione sui figli, loro mi hanno sempre seguito, quando avevano qualcosa da dire la dicevano ma non mi hanno mai pressato. Sono felice della vita che ho e per questo posso dedicarmi e dare il meglio per il mio lavoro“.
Lo scorso mese di marzo, in un match valido per la qualificazione ai prossimi mondiali in Brasile, è arrivato anche l’esordio con la maglia della sua Nazionale contro la Serbia, partita dal significato che va oltre il semplice rettangolo di gioco tra due popoli protagonisti di asprissime lotte agli inizi degli anni ’90: “Quella partita ha significato molto per la nostra gente – ha spiegato il giovane nativo di Linz – Non posso dire molto riguardo alla guerra perché ero appena nato ma è certo che si tratta di una grande ferita per il popolo croato. E naturalmente anche per quello serbo. Per quanto riguarda la partita, devo ringraziare tutti coloro che mi hanno dato questa grande opportunità. E grazie a Dio abbiamo anche vinto, una vittoria di vitale importanza. Per tutti i croati quella vittoria è valsa più di tre punti”.
Dall’Austria alla Croazia per giungere poi in Italia, un pellegrinaggio calcistico in Europa che ha portato Mateo a continui cambiamenti di vita: “Sono comunque rimasto sempre lo stesso. Naturalmente in tutti questi spostamenti ho rischiato di perdere degli amici, è stato difficile trasferirmi. Quando sono andato via dall’Austria, ero felice di andare a Zagabria, dove avrei trascorso la mia adolescenza. Il trasferimento a Milano è stato più difficile, perché a Zagabria avevo la mia ragazza, i miei amici, la Chiesa. Ho trascorso sei anni meravigliosi in Croazia ma questo è il mondo del calcio. Non dico che non sono felice di essere andato a Milano, anzi. Sono felicissimo di essere all’Inter ma so dov’è la mia casa e questo è importante”.
“Metti tutto nelle mani di Dio. Questa è la mia frase preferita della Bibbia”. Parole che rappresentano in pieno Mateo Kovacic, un ragazzo tutto casa, chiesa e… pallone.
This post was last modified on 3 Giugno 2013 - 00:26