Gli strumenti musicali profondamente diversi di un’orchestra si esprimono all’unisono dando vita ad una sinfonia unica e omogenea in ogni sua parte. Il suono dolce e raffinato di archi e arpe, quello grave e profondo degli ottoni fino a quello chiaro e potente delle percussioni possono coesistere grazie al coordinamento impartito loro dalla sapiente bacchetta di un direttore. Così come l’assenza di quest’ultimo porterebbe ad un sovrapporsi rumoroso di accordi assolutamente privi di ritmo, una squadra di calcio che punti a vincere necessita di una guida che riesca a trasmettere una idea di gioco e un ineguagliabile senso di appartenenza ad un gruppo in cui ognuno possa esprimere le proprie qualità soltanto grazie al lavoro dei propri compagni.
Ad ogni interista che si rispetti il 3 giugno ricorda l’inizio di un sogno, la prima nota di una partitura che sviluppandosi tra un movimento allegro ed un adagio, si conclude con un rapido crescendo. Uno spartito scritto e diretto da Josè Mourinho, che proprio cinque anni fa cominciò la sua avventura sulla panchina meneghina cambiando radicalmente il corso degli eventi. Il biennio meneghino del “vate di Setubal” è la storia epica di trofei conquistati, record infranti, vittorie entusiasmanti e rappresenta ciò che più nel calcio possa avvicinarsi alla perfezione. Tutto ha inizio con una frase tipicamente milanese con cui lo Special One avverte la folta platea di giornalisti di “non essere un pirla”: nel giro di due anni dimostrerà di non esserlo davvero dando un significato concreto alle sue prime battute da interista.
Al primo tentativo una Supercoppa Italiana e uno Scudetto che, sulla scia di quanto già fatto da Roberto Mancini, confermano il netto predominio nerazzurro entro i confini del Bel Paese. La maledizione degli ottavi di finale, invece, frena nuovamente la Beneamata nella corsa verso l’ambita Coppa dalle grandi orecchie, interrotta dal temibile Manchester di Sir Alex Ferguson. Le soddisfazioni, però, arrivano per chi ha la forza di aspettare. Come Ludwig van Beethoven impiegò ben quattro anni per venire a capo della sua quinta sinfonia preoccupandosi di curare ogni suo minimo particolare sin dalla prima bozza, così anche Mourinho alla sua seconda esperienza europea sulla panchina dell’Inter riuscì a firmare il suo splendido capolavoro.
I successi della stagione successiva sono propiziati da un mercato orchestrato abilmente da allenatore e società e capace di portare sul Naviglio gli interpreti ideali degli schemi e delle idee del portoghese. La velocità di Eto’o, le geometrie di Motta, la fantasia di Sneijder, le sgroppate di Maicon, il fiuto del gol di Milito, la tenacia di Lucio e Samuel, i riflessi di Julio Cesar e la generosità di Zanetti e Cambiasso sono le armi a disposizione di Mourinho a cui spetta l’arduo compito di incanalare sulla retta via il potenziale illimitato a sua disposizione e trasformare le invidiabili individualità reperite sul mercato in un gruppo affiatato, muovendo una bacchetta a destra e sinistra proprio come un direttore d’orchestra.
Il 5 e il 16 maggio dopo una lunga cavalcata non priva di ostacoli, la bacheca dell’Inter si arricchisce del diciottesimo tricolore e dell’ennesima Coppa Italia. Nonostante la conquista della Champions League “non sia un ossessione, ma solo un bellissimo sogno”, una eventuale sconfitta impartita in finale dal Bayern Monaco avrebbe mutato il senso di un anno di lavoro rendendolo paragonabile alla famosa sinfonia n. 8 di Schubert, detta appunto “Incompiuta”. Il 22 maggio, però, l’Inter schianta i tedeschi con due gol di scarto, riportando a Milano quel trofeo che mancava ormai da 45 anni, ovvero da quando un altro “Mago” era riuscito nell’incantesimo.
La foto storica (e rievocatrice di altri dolci ricordi) dell’abbraccio tra Moratti e Mourinho sul rettangolo verde del Bernabeu, l’espressione spiritata del Capitano mentre alza la Coppa verso il cielo di Madrid e le lacrime sincere dello Special One all’alba di una nuova avventura producono l’ultimo e il più solenne suono prima che si scatenino gli applausi di un pubblico in visibilio e si cali definitivamente il sipario.