In un’intervista concessa ai microfoni di Fabio Monti per il Corriere della Sera, Leonardo è tornato a parlare del suo legame con i colori nerazzurri, spiegando il perchè del suo addio anticipato e commentando l’ipotesi di un ritorno in società. Ecco le sue parole:
Leonardo, che momento è della sua vita?
“Sono in una pausa di riflessione. Obbligata, per quanto è successo il 5 maggio, ma che arriva dopo anni di straordinaria intensità. Prima l’esperienza da dirigente con il Milan, poi la panchina rossonera, il terzo posto in campionato, un breve stop, l’arrivo all’Inter dopo Mourinho e Benitez, una grande rincorsa, la Coppa Italia e poi il lavoro al Paris Saint-Germain. Che ho dovuto rompere in anticipo, e non per mia volontà. Ma oggi mi sento bene”.
Torniamo un po’ indietro. Lasciando perdere il finale tumultuoso a Parigi, è stato un errore lasciare l’Inter nel giugno 2011?
“La questione è semplice. Avevamo vinto la Coppa Italia e saremmo andati avanti serenamente. Poi è arrivata a sorpresa l’offerta del Principe del Qatar. A sorpresa, perché la Qatar Investment Authority aveva programmato di acquistare il club un anno dopo. Era un’opportunità inattesa e incredibile, nel senso che non mi veniva offerto un ruolo da semplice direttore sportivo, ma mi venivano consegnate le chiavi del club, per ripartire e arrivare in alto. Ne ho parlato con il presidente Moratti e lì ho avuto la conferma che si tratta di un personaggio straordinario. Mi ha lasciato andare, ma per me è stato un passo difficilissimo. Certo, se avessi saputo che a Parigi sarei rimasto così poco, non sarei andato via dall’Inter. Mi sono dimesso perché non sarebbe stato giusto rimanere, visto che in concreto non avrei potuto lavorare”.
A Parigi ha trovato una valanga di soldi. Il denaro è l’unica cosa che conta nel calcio di oggi?
“Penso che siano indispensabili a questo livello, però quello che fa la differenza sono le idee. Restando al caso del Psg, mi era stato chiesto quali potevano essere gli obiettivi del club a breve termine. Ho risposto semplicemente: andare in Champions League, per farci conoscere in Europa. E abbiamo investito su giocatori che potessero portarci in alto, ma tenendo sempre presente l’idea di costruire una squadra, con attenzione anche ai giovani, a cominciare da Pastore. Nel secondo anno, per essere già competitivi in Champions, abbiamo fatto venire giocatori come Ibrahimovic, Thiago Silva, Lavezzi, ma anche Verratti e Lucas. E quest’anno il numero degli acquisti è diminuito, perché abbiamo puntato sulla massima qualità, in base alle esigenze della squadra: Cavani, Marquinhos e Digne”.
In che senso contano le idee?
“Nel senso che dobbiamo pensare ad un calcio che sappia essere all’avanguardia in tutti i settori. Non basta prendere i migliori giocatori; occorre puntare sulla prevenzione e sulla preparazione e in questo senso occorre trovare chi sa fare la differenza anche in questi campi. Se si scopre che negli Stati Uniti c’è chi è più avanti di tutti, bisogna arrivare là. Ci vogliono sempre investimenti, ma sono sempre meno onerosi rispetto a quelli destinati all’acquisto di giocatori. È indispensabile investire anche per trasformare una squadra in un grande laboratorio. Quando abbiamo deciso di prendere Ancelotti, la scelta era stata fatta proprio per dare più forza a squadra e società”.
Idee nuove significa anche cercare nuovi partner come sta facendo Moratti con Thohir?
“Penso di sì. Moratti sta cercando il meglio per l’Inter. A prescindere dai dettagli dell’accordo con gli indonesiani, quella del presidente è un’intuizione eccezionale. È un’apertura verso il futuro di portata storica. L’Inter non perde la sua identità, ma si apre a nuovi mercati, a nuove idee, a nuovi scenari, per aumentare i ricavi e per poter investire di più. Moratti ha dimostrato di essere ancora una volta in anticipo sui tempi, per un progetto che può cambiare davvero tutto”.
Invece dal punto di vista tecnico-tattico dove va il calcio?
“Il segno del cambiamento e dell’evoluzione del pallone è stato Ronaldo, il brasiliano, perché è stato capace di fare a 200 km/h quello che una volta si faceva a 50. Ma oggi credo che chi guarda le partite allo stadio o in tv voglia vedere il bel calcio. Un esempio viene da Verratti, un giocatore che è calcio allo stato puro e di cui tutti sono innamorati”.
Se questo è lo scenario generale, il prossimo Leonardo sarà allenatore, dirigente, presidente o che cosa?
“Penso a un ruolo da manager all’inglese. Più in generale mi piacerebbe essere un produttore di calcio, nel senso di un uomo che ha maturato esperienze diverse e che le mette a disposizione di chi ha idee da trasportare sul campo. Perché i presidenti sono tutti appassionati, ma poi si ritrovano soli a governare una situazione oggettivamente difficile. E hanno bisogno di chi li aiuti a trasformare in fatti concreti le loro idee. Le squadre si possono costruire e sviluppare in tanti modi; basta essere chiari in partenza. Se penso alla mia storia, penso che Milano e l’Inter o Rio e il Flamengo siano due situazioni lasciate a metà”.
Leonardo cittadino del mondo alla fine ha scelto Milano… Vuol dire che questa città non è poi così male?
“La mia voglia di girare non cambia, ma Milano ti abbraccia; Milano è poesia concreta; ti trasmette sensazioni positive. Io mi sento brasiliano al 100%, ma mi considero un viaggiatore che ama andare in posti nuovi. Tornare a Milano? Milano è ancora casa mia”.