Il passaggio di consegne tra Moratti e la cordata indonesiana guidata da Erick Thohir ha segnato inevitabilmente una svolta nella storia dell’Inter. Tutti i tifosi nerazzurri saranno per sempre grati ad una famiglia che, prima con papà Angelo, e poi con il figlio Massimo, ha portato la Beneamata sul tetto d’Europa e del mondo per ben tre volte. Un amore profondo che ha coinvolto anche altre famiglie, come quella Facchetti.
Il compianto Giacinto rimarrà per sempre il simbolo di un’Inter pulita e onesta e, dopo la sua morte, il figlio Gianfelice si è esposto più volte a difesa dei colori nerazzurri. Con l’ingresso in società di Thohir, l’attore, drammaturgo e regista teatrale ha voluto esprimere il suo pensiero sulle pagine de La Gazzetta dello Sport nell’edizione locale Milano-Lombardia. SpazioInter.it vi propone integralmente le parole di Gianfelice Facchetti.
“Nel giorno in cui l’Inter è diventata indonesiana, una lacrima furtiva ha rigato il volto gentile della nostra bela Madunina. Poco lontana dal quartier generale nerazzurro in corso Vittorio Emanuele, dopo avere ascoltato per prima il comunicato ufficiale del passaggio di proprietà, avrà certamente consolato sguardo e sentimento di Massimo Moratti, pio e devoto tra milioni di affezionati al nero con strisce di celeste. Solamente “Nostra Signora dei bauscia” può conoscere fin nelle pieghe più profonde, cosa stia attraversando l’animo combattuto e in subbuglio di chi sente una parte di cuore scontenta: sarà forse l’autunno, fatto sta che le uniche foglie morte incollate agli occhi degli interisti in questi giorni, sono quelle di Mariolino Corso, fronde mai cascate a terra del tutto perché l’albero da cui nascevano era di una specie meneghina doc. Stesse radici, stessi rami, da un padre di nome Angelo al figlio Massimo.
Se sfiorassimo con le dita i cerchi nel legno per contare gli anni, resteremmo incollati al profumo di linfa di una bella storia scritta da un’infinità di mani, piedi, occhi, corpi in estasi tra spalti e prato. Dal campo di allenamento in via Rogoredo, passando per l’Arena, in direzione San Siro fino a buttare giù le frontiere del tifo, internazionale per definizione. Sconfinando per passione, fino in Oriente per poi tornare ancora sotto il Duomo a imparare come scrivere Inter in “Bahasa Indonesia”, una lingua che presto sarà di casa anche qui. Tra grandi gioie ed emozioni genuine, il merito più grande dei Moratti è stato proprio questo, regalare all’Inter copertina e intreccio di un bel romanzo popolare il cui protagonista unico e indivisibile, è stato un coro impaziente al suono delle note, “Inter!”. Il 9 marzo scorso per esempio, un centinaio di tifosi provenienti da tutta Italia si radunarono in una trattoria milanese per rievocare la nascita della loro squadra dopo 105 anni. A metà serata, Massimo varcò l’ingresso senza scorta, prese posto tra le persone e in gran scioltezza si infilò una bombetta retrò; con un bicchiere di barbera in mano poi, prese a dialogare con tutti.
Anche con l’avvento di Thohir, tutto questo resterà, per forza di cose, l’ostinazione del sentimento sarà la bussola per il tempo a venire, guardando a Est così come si crede a una bella promessa. Gli interisti hanno la maturità e il viatico necessario per affrontare una sfida che sarà calcistica e culturale insieme, per non appiattire la storia di una passione sul banco del profitto. Fuori dai denti, Inter sarà sempre un bene in comune tra più persone, come l’acqua. Quanto a voi fratelli nerazzurri d’Indonesia, vi aspettiamo a braccia aperte, Milano conosce bene il valore dell’incontro…”Si vegnii senza paura, num ve slungaremm la man”.