Cosa ricorda del giocatore?
«La fortuna fu vedercelo crescere in casa, iniziammo a capire chi sarebbe diventato quando aveva 16-17 anni: dimostrava già grandi qualità tecniche ma anche mentali, quelle che lo hanno aiutato a fare benissimo anche in Europa, dove pure non tutti i brasiliani riescono a esprimersi come in Brasile. E poi calciava indifferentemente con i due piedi, sapeva occupare tutte le zone della metà campo offensiva e aveva uno stile di gioco molto personale, a parte il famoso “movimento dello scorpione” che gli hanno copiato in tanti. In più, da medico posso dire anche che era, ed è, fisicamente perfetto: ricordo che dopo un’operazione al menisco tornò in campo in 17 giorni».
Perché è arrivato così tardi in Italia e ancora più tardi all’Inter?
«Soprattutto nel 2008, quando Adriano venne in prestito al San Paolo, ero in contatto con l’Inter: in particolare con il mio amico e collega professor Combi e proprio a lui suggerii di segnalare agli uomini mercato dell’Inter di puntare forte su Hernanes. Ricordo che per provare a convincerli, scherzando ma non troppo, dissi una cosa tipo: «È più forte di Pirlo». Ma non se ne fece nulla e non ho mai capito perché l’Inter, ma anche altre squadre italiane che lo seguivano, non vollero già allora approfondire il discorso».
Da quanto non sente Hernanes?
«Mi ha chiamato qualche mese fa, dal ritiro della Nazionale. Siamo legati, anche se non ci sentiamo così spesso: quando lasciò il San Paolo pianse, e ho visto che lo ha rifatto anche andandosene da Roma. Gli dissi che era il momento giusto, che era pronto per la nuova avventura, e lui fece con me quello che ha fatto con un tifoso della Lazio l’altro giorno: mi ha regalato le scarpe della sua ultima partita, come fece anche Kakà. Quelle di Ricardo le ho a casa, le sue le tengo qui in ufficio».