Sampdoria, Chievo, Catania, Cagliari. Quattro squadre mediocri in lotta per la salvezza, quattro scialbi pareggi casalinghi per l’Inter. E tocca ringraziare Samuel se contro il fanalino di coda Sassuolo il risultato non è stato lo stesso. Quattro partite in cui l’Inter non è riuscita ad imporre il suo gioco come una grande (o presunta tale) squadra dovrebbe fare.
Il motivo non è difficile da capire: quel gioco non esiste. E il responsabile non può che essere uno solo: Walter Mazzarri. Arrivato come il salvatore della patria, il tecnico di San Vincenzo si è rivelato incapace di dispensare il valore aggiunto che da lui ci si attendeva. L’attenuante di una rosa comunque incompleta non può più valere. E’ finito il tempo dell’attesa, della pazienza, della fiducia incondizionata.
Non è un risultato storto a portare al disfattismo, ma sarebbe un’illusione continuare a sperare che questa squadra possa migliorare: il progetto di Mazzarri è fallito ancor prima di cominciare. E’ fallito nel momento in cui ha deciso di gestire l’Inter come se fosse il Livorno, la Reggina o la Sampdoria, impostando un calcio difensivista e di rimessa che non può pagare dividendi per una squadra dagli obiettivi così ambiziosi.
E’ fallito nel momento in cui ha deciso di schierare l’Inter come il Napoli, insistendo su un improbabile 3-5-2 senza avere gli uomini di fascia per farlo, né un Cavani, di cui il pur immenso Palacio non può fare le veci. E’ fallito nel momento in cui, preso dal suo odio atavico verso i giovani e dalla sua molesta gerontofilia, ha deciso di far fuori prima Icardi e poi Kovacic, l’unico punto fermo da cui si sarebbe dovuti ripartire.
Tutte cose che si potevano facilmente prevedere nel momento in cui si è deciso di allungargli un biennale da sette milioni ed è per questo che il progetto è fallito nel momento stesso in cui si è deciso di sostituire Stramaccioni con Mazzarri. Purtroppo non è il progetto del solo Mazzarri a fallire, ma quello di tutta l’Inter, costretta a vivere un’ulteriore annata di transizione e ricostruzione. L’ennesima.
Giovanni Cassese
(Twitter: @vannicassese)