Mazzarri: “Ho tutto per vincere ma non faccio i miracoli, serve una rosa adeguata. Io contro i giovani? Un’assurdità! Con me Kovacic…”

Walter Mazzarri ha parlato in esclusiva ai microfoni de Il Sole 24 Ore. Ecco le sue parole:

Nessuna squadra italiana ai quarti di finale della Champions League. Come nel 2001, 2002 e 2009. Cosa manca al calcio di casa nostra per tornare protagonista fuori dei confini nazionali? E’ soltanto un problema di denaro o c’è di più?

“Il monte ingaggi di una squadra si traduce quasi sempre nel valore che esprime in campo. Se un giocatore guadagna tanto è perché in passato ha dimostrato di meritare certe cifre. Insomma, la qualità fa sempre la differenza. E la qualità costa. Se si riducono gli ingaggi per far quadrare i bilanci, è normale che non arrivino nemmeno i risultati. Perché altrove, all’estero, continuano a portare avanti una politica diversa. Col tempo, creando giocatori in casa, si può tornare a essere competitivi a livello internazionale. Ma ci vuole tanto lavoro e tanta pazienza”.

Nelle ultime cinque gare di campionato, l’Inter ha raccolto 3 vittorie e 2 pareggi. Avete rosicchiato alla Fiorentina quarta in classifica 8 punti in poco più di un mese. E ora l’Europa League è a un passo, forse meno. Crede che sia un traguardo alla vostra portata?

“Lo dico da sempre. Questo è un anno particolare, un anno nel quale bisogna investire sul lavoro per dare un’identità di gioco alla squadra. Dobbiamo lavorare sulla mentalità dei giocatori, perché siano disponibili a lottare per raggiungere grandi risultati. L’obiettivo di questa stagione è arrivare il più in alto possibile. Mancano ancora 11 partite e dobbiamo affrontarle tutte con lo spirito giusto. Alla fine, si tireranno le somme, non possiamo pensare ad altro”.

Pare però che per il presidente Thohir l’ingresso in Europa sia già oggi un obiettivo imprescindibile, da portare a casa al termine della stagione in corso. L’appetito vien mangiando? Colpa sua che riesce a far rendere i giocatori a disposizione al 110% delle loro possibilità?

“Ecco il grande equivoco che accompagna da sempre la mia carriera. Arrivo in situazioni in cui nessuno pretende niente, poi comincio a fare risultati non previsti alla vigilia e finiscono con il chiedermi sempre di più. Scherzi a parte, io vorrei che tutti gli addetti ai lavori fossero più attenti ai parametri riscontrabili nel calcio. Bisogna sempre considerare da dove arriva la squadra che mi viene consegnata, cosa ha fatto negli anni precedenti. Ecco perché ci tengo a finire bene quest’anno. Perché se finiamo bene, possiamo iniziare ancora meglio la prossima stagione”.

E’ un messaggio rivolto a chi le sta davanti o al presidente?

Guardi, credo che sia Moratti sia Thohir abbiano capito subito come lavoro. Con loro, c’è grande sintonia. Non devo aggiungere altro”.

Rolando, Alvarez, Jonathan. Con lei, tre giocatori che sembravano destinati a cercare fortuna altrove sono diventati protagonisti. Era un problema tecnico, tattico o di convinzione nei propri mezzi?

“Non si tiene mai troppo in considerazione del peso della maglia, non è facile essere titolari in un club come l’Inter. Dobbiamo dare ai giocatori il tempo di ambientarsi. Se un anno fanno bene, in molti pensano che debbano mantenere lo stesso livello per sempre. Ma non è così. Perché il campionato è lungo e stressante e può arrivare il periodo in cui le cose non girano come vorresti. E’ in questi momenti che può fare la differenza la forza di carattere dei giocatori già abituati a vivere da vicino queste pressioni. Ripeto: non è facile giocare in una squadra come l’Inter. Le responsabilità nel vestire questa maglia si sentono e non poco”.

Da Morata a Insua, passando per Kolarov e Montoya. L’Inter guarda avanti e programma il suo futuro, da concretizzare, se possibile, già nella prossima finestra di mercato. Senza entrare nel merito delle singole operazioni, quali sono le caratteristiche che devono avere i giocatori che lavorano con Mazzarri?

“A me piacciono i giocatori che hanno nel proprio animo lo spirito e la voglia di migliorarsi sempre. Lo ripeto continuamente ai giocatori che alleno: se sei bravo, puoi diventare bravissimo. Non bisogna mai sentirsi arrivati, si può fare meglio. Anche se di poco, è possibile. La storia della mia carriera dimostra che è successo nel 99% dei casi. Con me, i giocatori sono sempre migliorati”.

Nemanja Vidic, primo acquisto ufficiale per la prossima stagione, è stato per anni uno dei titolarissimi del Manchester United. Era il centrale che stava cercando?

“Di Vidic parlerò alla fine della stagione, non è ancora un giocatore a mia disposizione. Posso dire però che per lui parla la sua carriera. Nel suo caso, non bisogna fare grandi discorsi”.

A proposito di Red Devils. Per 25 anni, Alex Ferguson ha fatto a Manchester il bello e il cattivo tempo. Aveva l’ultima parola su tutto, fuori e dentro il campo. Anche in tema di calciomercato. Sarebbe felice se le riconoscessero prima o poi una libertà simile?

“Certo, sarebbe il massimo per uno che lavora come me. Ma cose come queste non si possono chiedere, devono arrivare. Ciò detto, in Italia non c’è questo tipo di mentalità. Le dico la verità, se arrivasse una proposta simile io mi sentirei tranquillo. Con l’esperienza che ho accumulato nel corso degli anni, credo sarei in grado di farlo senza grandi problemi. Perché io mi occupo di calcio, ma anche di numeri. Da sempre. Un mio ex allenatore, diceva che ero un matematico. Perché mi piace occuparmi di tutti gli aspetti che riguardano la squadra. E’ vero, il calcio non è una scienza esatta, ma io sono dell’opinione che più ti avvicini alla scienza e maggiore è la possibilità che hai di fare risultati. Le statistiche, se fatte su grandi numeri, sono rilevanti. Anche per giudicare un calciatore”.

Secondo lei, quanto può incidere un allenatore nel rendimento di una squadra?

“L’allenatore è importantissimo. Portando il discorso all’estremo, può incidere al 100% in negativo oppure al 100% in positivo. Faccio un esempio. Se una squadra ha debolezze caratteriali, il tecnico deve intervenire per modificare l’approccio alle partite. Il bravo allenatore sa far passare i momenti difficili, sa cambiare l’inerzia di una stagione partita male. Certo, per far questo deve essere credibile e preparato. Di più. Deve essere capace a isolare l’interno dall’esterno, per convincere i giocatori che non devono badare a quello che sentono fuori dello spogliatoio. E a certi livelli, questo discorso vale ancora di più”.

Sono in tanti ormai a sostenere che tra lei e Mourinho le similitudini siano tante.

“Non devo dirlo io. Riconosco però che alcune affinità ci sono. Soprattutto nella difesa del gruppo, nel proteggerlo da quanto viene detto fuori dello spogliatoio. Nel fare da parafulmine nei momenti più difficili”.

Chi la conosce, la ama. Chi non la conosce, fa difficoltà a interpretare le sue mosse. Era così anche quando ha iniziato ad allenare?

“Sono stato amato in tutte le squadre che ho allenato. I tifosi hanno sempre visto in me un allenatore che lavorava per i loro colori e questa è la cosa più importante. Poi, magari mi hanno odiato quando ho scelto di cambiare strada, perché grazie a Dio ho sempre scelto io di andare via, non mi hanno mai cacciato i presidenti, ma questa è un’altra storia. Non mi hanno amato invece le persone che ritenevano rappresentassi un’insidia e che sono addirittura arrivate a trovare in me tutti i difetti possibili. Chi conosce il vero Walter Mazzarri sono i giocatori e le persone della società con le quali mi interessa aprirmi. Ecco, loro sanno che sono simpatico e pure un po’ rompiscatole. Perché sul lavoro pretendo sempre molto da chi collabora con me. E poi, ci sono momenti e momenti. Momenti in cui si può scherzare e ridere. Altri in cui bisogna lavorare seriamente”.

Le rimproverano di non dare spazio ai giovani di talento.

“Un’assurdità. Se comincio a fare i nomi dei giovani che ho valorizzato facciamo tardi: è un’infinità. Questa è una novella incredibile, kafkiana. La verità è completamente diversa. Ma chi le tira fuori queste cose? Chi non sa dove colpirti, chi si attacca a tutti gli appigli possibili. Potrei fare una lista lunghissima di giocatori che con me hanno giocato tanto e sono migliorati. Due nomi su tutti, Mesto e Modesto alla Reggina. Nel calcio non ci sono dati oggettivi, si basa tutto sui giudizi di chi segue le partite. E quando si vuole destabilizzare un allenatore, si tirano fuori cose come queste per creargli problemi. E poi, ci sono giovani e giovani. Se lei prende giocatori della Primavera che non hanno esperienza in Serie A e li mette a giocare nell’Inter non può pretendere subito di ottenere grandi risultati. La gente che sa di calcio, capisce al volo, non cade in questi tranelli”.

E cosa dire di Kovacic? L’anno scorso ha fatto bene, quest’anno sembra che faccia fatica a esprimersi al meglio.

“Ma l’anno scorso l’Inter ha vinto il campionato? No. Cosa deve interessare di più a un allenatore, la valorizzazione di un giocatore o la vittoria della squadra? Io posso far giocare chi volete e sono sicuro che lo faccio migliorare. Kovacic non tirava in porta, ora sta cominciando a farlo. E anche nella fase difensiva sta facendo progressi. E’ cresciuto molto, secondo me. E’ bravo, ma per far sì che faccia la differenza deve avere il tempo di completare il suo percorso di crescita. E’ stato catapultato in una realtà che non conosceva. Deve avere il tempo per capire cosa gli viene chiesto. Cosa preferisce il tifoso? Che io faccia giocare i giovani o che raggiunga grandi risultati?. In ogni caso, a fine anno mi rifaccia la stessa domanda. I conti si fanno sempre alla fine della stagione”.

Nella sua autobiografia lo ha scritto in maiuscolo: lei si sente un incompreso. E’ convinto di meritare più di quanto le è stato riconosciuto finora?

“Certo non mi sento incompreso da tutti i presidenti con cui ho lavorato. Che anzi avrebbero fatto carte false per farmi rimanere. Nel momento in cui potevano scegliere, mi hanno cercato. Lo dimostrano i rapporti che ho ancora con molti di loro, all’insegna della cordialità e del rispetto. Mi sento incompreso da alcune persone del nostro ambiente che dicono cose nelle quali non mi riconosco”.

A Napoli ha imparato a conoscere e ad apprezzare Hamsik, che con lei è diventato uno dei più forti centrocampisti al mondo. Sorpreso di vederlo in difficoltà agli ordini di Benitez?

“Ho salutato i giocatori del Napoli dicendo loro che per correttezza professionale nei confronti del nuovo tecnico non li avrei più chiamati. Avrei risposto a chi mi avrebbe cercato, per questione di rispetto, ma nulla più. L’ho detto chiaramente: non volevo più mettere bocca su quanto avrebbero fatto dopo di me. Hamsik è un ottimo giocatore, di più non posso e voglio dire”.

Senta Mazzarri, ma lei le idee per vincere la Champions League le avrebbe?

“Dipende dalla qualità della rosa che mi viene affidata, ma penso proprio di sì. Un allenatore può incidere tantissimo, ma non può fare miracoli. Detto questo, io penso che non mi manchi nulla per vincere”.

 

 

 

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