Una delle pagine più nere del calcio italiano si arricchisce di un nuovo capitolo. Sono state depositate ieri le motivazioni che il 17 dicembre scorso spinsero la Corte d’Appello di Napoli a emettere la sentenza di secondo grado nell’ambito del processo su Calciopoli. “Associazione per delinquere finalizzata alla truffa e alla frode sportiva“, questo fu il verdetto dei giudici. Poche parole che rendono bene l’idea di quanto marcio ci fosse nel mondo del pallone. In questo contesto, le parole “truffa” e “frode”, che eticamente dovrebbero essere distanti anni luce dal concetto di sport, bastano a evidenziare anni e anni di prese in giro nei confronti di chi la passione per il calcio cercava di portarla ogni domenica allo stadio.
Le motivazioni legali sono arrivate ieri. Due i punti fondamentali: la lesione del principio di terzietà, che dovrebbe essere alla base delle designazioni arbitrali, e il ruolo preminente e “spregiudicato” di Moggi nella vicenda. Per quanto riguarda il primo aspetto, la Corte d’Appello sottolinea in particolare che “la leggerezza e apparente convivialità con cui avvenivano gli accordi per la designazione delle griglie arbitrali tra personaggi come Bergamo, Moggi o Giraudo, appare gravissima alla luce della evidente lesione del principio di terzietà che dovrebbe presiedere alla scelta di un direttore di gara che, in quanto tale, ricopre un ruolo di ‘arbitro’ in ogni accezione, ovvero secondo il principio di mantenere una equidistanza necessaria e ineludibile tra i contendenti che non deve mai venire meno”.
Ancora più dura l’analisi quando ci si concentra nello specifico sulla figura dell’ex dg bianconero: “Dagli atti processuali, emerge il suo ruolo preminente sugli altri sodali, dovuto non solo alla sua personalità decisa, ma al contempo concreta e priva di filtri nell’esporre le sue decisioni, ma anche per la sua capacità di porre in contatto una molteplicità di ambienti calcistici fra loro diversi e gestirne le sorti con una spregiudicatezza non comune“.
Per la Corte d’Appello “la figura assolutamente apicale nel sodalizio di Luciano Moggi appare certa e inequivocabile. Egli – sottolineano i magistrati – non solo ha ideato di fatto lo stesso sodalizio, ma ha anche creato i presupposti per far sì di avere un’influenza davvero abnorme in ambito federale. […] Appaiono eclatanti le diverse incursioni di Moggi, assieme a Giraudo, negli spogliatoi di arbitri e assistenti“.
In tutte le 203 pagine della sentenza, ricorrono spesso e volentieri termini tesi a rimarcare la straordinarietà negativa dei fatti; e non potrebbe essere altrimenti, visto quello che hanno significato per il calcio italiano. A 8 anni di distanza dal primo processo, tra sentenze inequivocabili e severe condanne, arriva l’ennesima mazzata per ‘Cupola moggiana’ e per quelle tesi negazioniste che hanno alimentato il circo mediatico nell’ultimo periodo.