Da quando Roberto Mancini si è insediato sulla panchina dell’Inter, dopo un ovvio piccolo periodo di apprendimento, la squadra sta iniziando ad avere una propria impronta di gioco e una tranquillità nel gestire la gara che si era un po’ smarrita nella precedente gestione, con alcuni giocatori che hanno ritrovato più smalto e i fischi che si sono tramutati in applausi convinti.
Il caso più eclatante è rappresentato da Fredy Guarin, giocatore spesso beccato dal proprio pubblico a causa di un rendimento molto altalenante. E’ lui stesso, in un’intervista rilasciata a Tuttosport, a spiegare i motivi della metamorfosi: ”Il nuovo mister mi ha molto responsabilizzato. Ora gioco in una posizione più arretrata con al mio fianco un giocatore più bloccato e che privilegia la fase difensiva (Medel ndr) e ciò mi consente di essere più libero di prendere iniziativa in avanti, ma con la consapevolezza di non dover mai sbagliare e di rimanere molto concentrato. Mancini mi dice di giocare semplice e di pensare ad ogni passaggio perché un mio errore può essere una potenziale ripartenza e una palla gol avversaria”.
E sul rapporto tra tecnico e giocatori Fredy è molto sincero: ”C’è stato da subito gran feeling. Mancini entra nella testa dei giocatori perché a sua volta è stato un fuoriclasse e quindi capisce molte sfaccettature e meccanismi che nascono quando sei un calciatore. Parla spesso con noi anche a livello personale e quando spiega le cose al gruppo è molto attento ai dettagli. Crede molto in noi e si aspetta un grande girone di ritorno per centrare i nostri obiettivi prefissati”.
Obiettivi che si chiamano Champions League, ora distante sette lunghezze: ”E’ un obiettivo che ci siamo dati e vogliamo dare tutto quello che abbiamo sul campo per arrivarci. Sappiamo che dovremo fare un ritorno straordinario ma siamo consapevoli che può essere nelle nostre corde. Nello spogliatoio è diventata quasi un’ossessione ma è giusto che sia così; questo aiuta a stare uniti e compatti e se si desidera così tanto una cosa alla fine arriva. E’ capitato quando giocavo nel Porto e a metà stagione volevamo fortemente campionato e Coppa Uefa, ci siamo riusciti”.
Infine un tuffo nel passato per capire se il mancato passaggio alla Juve è stato vissuto come un rimpianto: ”Assolutamente no. La dirigenza sapeva fin dal principio quale fosse il mio pensiero e al momento cruciale dello scambio Thohir mi ha convocato chiedendomi se ero contento della destinazione. Io, emozionato anche dalla forte presa di posizione del popolo nerazzurro nei miei confronti, ho detto che avrei preferito rimanere perché qui mi sentivo amato dalla gente. E alla fine sono contento di come sia andata a finire”.