Una coppia ferrea, inossidabile, soprattutto nell’Inter: Roberto Mancini e Sinisa Mihajlovic. Due persone dal carattere forte, dalla personalità prorompente e dalle idee chiare. Due giocatori che si sono sempre stimati, che hanno diviso successi e sconfitte in diverse avventure. Due allenatori che si sono spesso confrontati, con il serbo, vice per una stagione, che ha appreso dal maestro i primi trucchi del mestiere e il Mancio, che subito lo ha voluto al suo fianco e se ne è servito per facilitare il controllo di uno dei suoi primi spogliatoi nerazzurri.
Mihajlovic ha segnato goal pesanti per l’Inter di Mancini, basti pensare alla sua punizione in una finale di Coppa Italia, il primo trofeo nerazzurro dopo anni di digiuno. Spesso Mancini ha avuto fiducia nel suo fido difensore centrale, fatto entrare nella serata disastrosa di Villareal, scatenando varie polemiche e sperando in una magia del suo mancino. Non andò bene, ma Sinisa si sdebitò comunque ad Ascoli quattro giorni dopo, segnando il goal decisivo su punizione ad andando poi a stringere la mano al suo allenatore, per far capire che, dopotutto, il Mancio ci aveva visto giusto. Una stima reciproca incrollabile, ceduta nemmeno quando le strade, per forza di cose, si sono separate.
Mentre Mancini diventava un allenatore di livello internazionale rendendo il Manchester City una nuova big d’Inghilterra, Sinisa si sgrezzava nelle sue molteplici avventure italiane dalle altalenanti fortune, da Bologna a Catania, passando per la Fiorentina e la nazionale serba, prima del fortunato idillio con la Sampdoria e Ferrero. Ha fatto un po’ più di fatica rispetto agli inizi della sua musa, venendo esonerato in Emilia e non trovando mai empatia con la piazza di Firenze, dalla quale fu cacciato per nemmeno troppi demeriti. A Catania dimostrò di che pasta era fatto, collezionando una gran stagione e rifilando un 3 a 1 sorprendente all’armata di Mourinho, squadra che si apprestava ad espugnare Stanford Bridge qualche giorno dopo. Ora si ritrovano contro, di nuovo, dopo l’ottavo di finale di Coppa Italia. Lì fu il maestro a prevalere, tornato alle origini e pronto a bacchettare l’allievo che voleva apprestarsi a superarlo. Ora però, mentre il serbo si coccola la creatura spalmata a propria immagine e somiglianza, Mancini non riesce a dare una sua fisionomia alla stessa squadra in cui tutto è cominciato per entrambi, per chi le vittorie e per chi la carriera.
Chissà se domani sera il discepolo avrà l’occasione di sancire il suo eventuale sorpasso sul maestro, almeno per questa stagione. L’esuberanza degli allievi però, quando meno se lo aspetta, deve fare i conti con l’orgoglio dei maestri, sempre pronto a ribadire la propria superiorità. Comunque vada, siamo certi che quel che chi lega non si spezzerà, perché, prima di tutto, sono e rimarranno degli amici.