Non è lo Special One, non è un manager, non ha la gestualità e la verve di Guardiola, non è sempre pronto alla battuta e simpatico alla stampa come Spalletti e non ha la storia di Trapattoni, ma è l’imprevedibile, spigoloso, generoso o semplicemente Anarchico Mancini.
Fiumi d’inchiostri e milioni di parole si sono spese, per lo più sprecati, per cercare di incasellare, individuare e criticare il tecnico jesino.
Ma lui, esattamente come faceva da numero 10 in campo, vuole andare al sodo, odia le perdite di tempo ed i salamelecchi e non perde occasione per far rimanere di sasso i suoi detrattori.
E’ tornato nella sua Milano con un’idea precisa: cambiare mentalità. Dopo vari tentativi ed infinite critiche, la mentalità è cambiata, o meglio è tornata ad essere quella che era e che deve sempre essere per il Biscione, dopo l’era mazzarriana.
In estate aveva detto che ci sarebbe stata una rivoluzione e dopo vari sfottò e polemiche d’ogni tipo, così è stato. I nerazzurri hanno un’altra pelle e soprattutto un altro scheletro, plasmato ad immagine e somiglianza dell’allenatore.
In questa stagione si è provato ad aprire casi ad ogni occasione, ad etichettare bidoni e campioni, titolari e riserve, moduli preferiti e moduli banditi.
Il Mancio durante il calciomercato ha spiazzato tutti mentre durante il campionato è sfuggito (ad ogni schema ed ogni etichetta)e ha stupito.
Ha bocciato Shaqiri (chi?) togliendolo dal “suo” gruppo e ad oggi pare proprio averci azzeccato. Ha lasciato partire il promesso maturando Kovacic e forse non solo a Milano ma anche a Madrid, ammesso che si ricordino chi è e dove sta, iniziano a capire perché ed abbandonano le crociate per salvarlo.
Il Maghetto di Linz sembra esser caduto nel dimenticatoio di Benitez e rimane spesso a scaldare la panchina della Merengues.
Ha rivoluzionato la squadra, ha cambiato capitano affidando la fascia ad un ragazzo di 22 anni, ha stravolto almeno 3 moduli e soprattutto non ha 11 titolari fissi nonostante l’Inter non giochi le coppe.
Al momento si sta prendendo tutte le ragioni e tutta la scena e cerca di far capire, anche ai più scettici, una cosa fondamentale:
la sua Inter ha un’anima, una struttura e soprattutto un’idea e udite udite gli interpreti sono in secondo piano perché ciò che conta è il gruppo.
Hanno provato ad aprire casi su tutti, facendo passare molti giocatori da fondamentali a bidoni, da meteore a fondamentali, da in crisi all’apoteosi.
Il condottiero nerazzurro con un’aria molto british (per la maggior parte delle volte), non si è mai scomposto ed ha recuperato o riequilibrato molti suoi atleti: Handanovic, Nagatomo, D’Ambrosio, Santon, Felipe Melo, Brozovic e non ultimi Icardi, Jovetic e Ljajic.
Non esiste singolo, c’è solo un gruppo e non mettetegli etichette, è solo Mancini.
E ad oggi ha ragione lui.
This post was last modified on 9 Novembre 2015 - 18:31