Una bastonata ciascuno, ecco perché in questo momento non si salva nessuno…

Il 2016 nerazzurro prosegue infausto, terribile, avvilente. Se col Sassuolo era stata sfortuna, con l’Atalanta il punto andava bene, col Carpi si era trattato di un incidente, la rotonda sconfitta di stasera fotografa alla perfezione il momento interista, di una squadra che ha perso l’azzurro per ritrovarsi nel nero più totale. E’ buio allo Juventus Stadium nello spogliatoio ospite, è buio al Meazza da qualche settimana, è buio alla Pinetina quasi sicuramente, dove si arranca alla ricerca degli interruttori.

Non ci eravamo illusi di essere i più forti del campionato, sappiamo di non essere probabilmente al livello della Juventus, ma stava maturando la piacevole convinzione di aver trovato una squadra più matura, in grado di non compiere più gli errori del recente passato. Invece il goal di Lasagna ha rievocato le pessime performance di “mazzarriana”, “stramaccioniana” e “ranieriana” memoria, quando tutti potevano permettersi il lusso di venire a fare risultato a San Siro. Male contro le piccole, ancor peggio con le big, perché anche la partita di stasera ha fatto riemergere ricordi di match in cui l’Inter si rassegnava agli episodi avversi, si piegava senza troppi sforzi alla superiorità avversaria.

Stasera è andata male, come nelle ultime settimane. La colpa di chi è? Di tutti. Si salva qualcuno? Crediamo di no. Anzitutto i giocatori hanno il mirino contro puntato. Si sono lasciati andare, si sono abbattuti, non hanno avuto nemmeno la forza di lottare quando era il momento di compattarsi, lasciando che Cuadrado facesse tutto il campo di corsa, permettendo a Dybala di tirare indisturbato. Facile fotografarsi ridenti quando si vince,  più complesso è risollevarsi dal fondo. La prossima partita sarà già un indizio sulla presenza, o meno, di tale virtù.

E’ colpa dell’allenatore? Certo. C‘è bisogno di appigliarsi a qualche certezza e finora lui sembra il primo al quale mancano. E le poche finora trovate, come la coppia centrale di difesa e Medel, stanno subendo le prime nitide scalfitture. Se Kondogbia non ha ancora una sua collocazione, se giocano sempre i terzini meno dotati tecnicamente, se l’attacco è sterile, se stasera si è fatto un tiro in porta la responsabilità, tanta, è anche sua. Va bene la fisicità, la grinta, ma il calcio è uno sport che si gioca con i piedi e i problemi solo ipotizzabili a inizio stagione, come il tasso tecnico povero in mediana, stanno emergendo chiaramente.

E’ colpa della società? Anche. Perché un presidente che fiuta le difficoltà deve far sentire la sua presenza, non bastano le videochiamate, Skype e tutti gli ausili della tecnologia. Bisogna prendere l’aereo, partire e suonare la carica. Non bastano i viaggi programmati. C’è bisogno, oltretutto e soprattutto, di uno Zanetti che si faccia sentire nello spogliatoio a ricordare quanto pesano certe maglie e le conseguenti responsabilità.

E’ colpa del mercato? Pure. Perché Eder non è l’uomo per risolvere i problemi. C’è solo il rischio che diventi un altro costretto ad arretrare sulla trequarti per giocare palla, perché lì nessuno sarà in grado di fargliela giungere con la dovuta frequenza. Perché è chiaro come il sole che serve qualità a centrocampo, che non si può rimanere con 3 soli difensori di ruolo e dannarsi l’anima per prendere un settimo attaccante che rischia di fare la fine dei Podolski, degli Shaqiri, dei Kovacic, degli Hernanes, salvatori della patria naufragati mentre tentavano di condurre la nave al porto.

Nulla è perduto, sia chiaro. L’obiettivo Champions è lì alla portata, la finale di Coppa Italia meno, ma almeno tra un mese si confida in un po’ di dignità, di vigore e voglia. Se già ci saranno queste componenti, sarà una discreta consolazione, al di là di ogni risultato o papabile rimonta. Almeno per una stagione si vuole sognare e non sperare. Sembrano concetti simili, ma in mezzo c’è tutta la differenza di questo mondo. Siamo ancora in tempo. 

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