Zanetti tra passato e presente: “La finale di Madrid è stata la partita più importante della mia carriera. Ora…”

Il vice-Presidente dell’Inter, Javier Zanetti, ha rilasciato una lunga intervista a Ultimo Uomo, in cui l’ex capitano nerazzurro ha parlato un po’ di tutto, della sua storia passato al momento attuale della squadra.

A partire proprio dal suo nuovo ruolo in dirigenza: “Per me l’Inter è sempre stata una grande famiglia. Mi sono state aperte subito le porte quando ero giovane e dopo quattro anni mi hanno dato la fascia di capitano che ho portato al braccio per quindici anni. Quando mi sono ritirato ho accettato questo ruolo dirigenziale anche perchè posso seguire di pari passo lo sviluppo della “Fundación Pupi”, che mi sta molto a cuore”.

Uno sguardo all’indietro, a quella magica notte contro il Barcellona del 2010 nella semifinale di ritorno di Champions League: “In un certo senso era quasi una finale.  Fu una partita interminabile perché sapevamo che era la miglior squadra in circolazione, ma noi avevamo troppa voglia di arrivare in finale e demmo tutto. Possono dire quello che vogliono sulla nostra attitudine difensiva, ma credo che qualsiasi altra squadra con quel Barcellona e in inferiorità numerica avrebbe fatto lo stesso. E credo che paradossalmente in undici contro undici sarebbe stato ancora più difficile mantenere il risultato perché avremmo avuto anche più possibilità di attaccare”.

Da quella vittoria si sono aperte poi le porte della finale di Madrid, considerata da Zanetti come la partita più importante della carriera: “Alzare la Champions da capitano dell’Inter dopo 45 anni fu un’emozione unica, resa ancor più speciale dalle migliaia di interisti presenti a Madrid che festeggiavano con noi e avevano riempito uno stadio storico già due ore prima del fischio d’inizio. Quella notte l’Inter scrisse la storia, essendo l’unica rappresentante del calcio italiano capace di vincere il triplete”.

Nel 2000 fu vicino al passaggio al Real Madrid, poi saltato per un valido motivo: “Perché non intendevo andarmene senza lasciare una traccia. Vincere all’Inter aveva un sapore diverso e io non potevo lasciare questa squadra senza poi fare quello che ho fatto per amore della maglia”.

Una battuta anche sul problema al pneumotorace che lo ha colpito al ritorno da una trasferta da Palermo: “In quel momento provai paura perché non riuscivo a respirare. Era una sensazione rara mai sentita in precedenza. E fu strano perché quando finì la partita, che vincemmo, iniziai a sentire fastidio al torace mentre salivo le scalette dell’aereo per tornare a Milano. Poi feci gli esami e mi salvai di tanto così (fa il segno con le dita indicando uno spazio di due centimetri) dall’operazione”.

Infine, un aneddoto su Lavezzi, che andò a consolare al termine di un match di Coppa Italia in cui il Pocho sbagliò un calcio di rigore: “Gli dissi che era un grande. Che i rigori si segnano e si sbagliano, ma che lui aveva avuto il carattere di andare a calciarlo. Gli ho dato coraggio per il futuro e per il resto della stagione (il Napoli si sarebbe qualificato in Champions League). Bisogna essere lì, sul campo, per capire le emozioni che provoca uno uno stadio intero che aspetta  il rigore decisivo. E te lo dice uno che ha avuto la fortuna di segnare il 100% dei rigori tirati, perché in realtà ne ho tirato solo uno, quello che ci regalò la Supercoppa Italiana nell’agosto 2008, contro la Roma, a San Siro”.

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