Caparbio, sanguigno, grintoso, passionale, ma soprattutto, interista dentro. Oggi Andrea Mandorlini festeggia il traguardo dei 56 anni, tanti dei quali vissuti come tifoso dell’Inter e addirittura 7 come giocatore. Ottimo difensore e membro importantissimo della squadra dei record di Giovanni Trapattoni, ha vinto uno scudetto, una Supercoppa Italiana e una Coppa Uefa con il club del suo cuore, non dimenticandolo mai, nemmeno dopo il passaggio all’Udinese nel 1991, il ritiro da professionista nel 1993 e i suoi trascorsi da allenatore, che lo hanno portato più volte a scontrarsi con la sua Beneamata, soprattutto negli ultimi anni col Verona.
I tifosi hanno sempre percepito il suo attaccamento alla maglia e lo hanno celebrato e ringraziato ogni qual volta il “Mandorla” si palesasse dalle parti della Curva Nord del Giuseppe Meazza. Curva che lo ha visto scendere in campo per la bellezza di 275 volte, con 13 reti a seguito, di cui ben 3 nel campionato storico del 1989 e uno nella Coppa Uefa conquistata a spese della Roma, l’ultimo trofeo prima del trasferimento in terra friulana.
Una carriera piena di successo e di furore agonistico, stessa identica qualità che lo ha accompagnato nella sua seconda vita in panchina, dove l’attaccamento ai colori nerazzurri è rimasto lo stesso. Basti pensare alle sue esultanze rabbiose quando la sua squadra incontrava la Juventus o il Milan, le rivali di una vita. Lui è stato parte integrante di quel grande gruppo di uomini e calciatori a cavallo degli anni Novanta, da Zenga a Bergomi, passando per Ferri, Berti e Matthaus, che hanno sempre rappresentato per i tifosi dei beniamini nei quali identificarsi, per i quali la maglia veniva prima di ogni cosa. Di questi tempi di richieste di ingaggio frequenti, sono dei valori che risultano molto nostalgici e scarsamente attuali.