Meglio mettere le cose in chiaro sin da subito: Marco Materazzi è sempre stato uno dei miei giocatori preferiti, forse quello al quale sono più affezionato. Una fama da “macellaio” che ha eccessivamente oscurato quella, molto più degna, di uno dei migliori difensori italiani del primo decennio dell’era 2000, leader e goleador, a volte sopra le righe, ma mai rassegnato a mettersi da parte, o a far mettere da parte l’Inter. Forse l’emblema perfetto di cosa voglia dire essere interisti: quell’incredibile capacità di passare dal raschiare il fondo al toccare il cielo con un dito in un baleno, salvo rischiare di crollare ancora a picco e poi rialzarsi di nuovo, in una continua altalena di emozioni e cambiamenti umorali.
Per questa ragione, quando ho appreso che sarebbe stato ospite della società, assieme a Milito, in occasione della gara contro la Juventus nell’ambito del bel progetto di “Inter Forever”, la notizia mi ha piacevolmente colpito. Se ne era andato quasi in sordina, in punta di piedi, senza nemmeno poter salutare e farsi salutare dai tifosi, riuscendo almeno a evitare il degrado calcistico occorso da quell’estate del 2011 in poi. Doveroso tributargli un applauso in compagnia di un altro grande campione per quanto fatto, per quanto dato e per quanto ha significato. La circostanza, inoltre, si mostra propizia: quale migliore occasione per salutare e ringraziare un vero interista se non la partita contro la rivale più acerrima?
Trasformare una coincidenza in un’opportunità. Lo abbiamo detto tra il serio e il faceto, ma con un chiaro e amaro fondo di verità: quello di una squadra che, nella cattiva sorte, non sa a chi aggrapparsi, non sa tirare fuori quelle qualità mentali e caratteriali che sono imprescindibili per integrare le altre già presenti e sopperire a quelle mancanti. Ce lo siamo immaginati al centro dello spogliatoio mentre picchiava una lavagnetta lì a portata di mano con tutti i giocatori seduti a guardarlo senza muover dito, a sentire le sue urla, i suoi improperi, le sue parole cariche di motivazione e di appartenenza, abbiamo riso pensando a qualche “cazzottone” che potrebbe volare verso qualcuno, magari come con Balotelli dopo la semifinale contro il Barcellona, a ricordare come si comporta un professionista, un atleta, anzi, un agonista. Serve qualcuno che faccia capire che non si può più mangiare fango, come successe a lui all’Olimpico di Roma nel 2002 o al Castellani di Empoli nel 2006 dopo uno degli autogol più clamorosi della storia, ma che è ora di prendersi un posto nella storia, come a Berlino, a Siena, a Madrid.
Questo lo si può fare solo col carattere, da abbinare a una qualità che siamo convinti sia presente in buona parte degli elementi della rosa, con la consapevolezza di vestire una maglia prestigiosa e di non potersi permettere certi evidenti passi falsi, con la cattiveria necessaria per affrontare un certo tipo di sfide. Si desiderano i tre punti, i trofei, i titoli, ma bastano il sudore, anche un pizzico di sangue e la voglia di lasciare tutto sul campo per guadagnarsi il rispetto, la dignità e forse anche l’affetto dei tifosi. Da Materazzi queste cose non sono mai mancate, non fategliele mancare proprio davanti ai suoi occhi, altrimenti poi ve le ricorda lui. E son cacchi vostri.
This post was last modified on 17 Settembre 2016 - 20:19