Troppo lento come regista, non fa filtro, non ha una sua collocazione con de Boer, fuori ruolo, non si integra, perde troppi palloni. Su Ever Banega già se ne erano dette di cotte e di crude, perché forse ci si aspettava che planasse sull’Inter come il più classico dei salvatori della patria: palla a lui e si gode, si festeggia. Non funziona proprio così, perché ogni giocatore, anche il più forte, ha bisogno di un contesto ideale nel quale esprimersi. Un contesto che si sta plasmando e che, dopo ieri, appare molto più vicino alla completa definizione. In questo contesto Banega spicca, dimostra di rivestire un ruolo di fulcro vitale, primario, non secondario o di semplice complemento.
A dir la verità, non era affatto dispiaciuto né contro il Palermo, né contro il Pescara, nonostante i goal avversari fossero nati da due sue palle perse al momento di far ripartire l’azione. Errori evidenti frutto di rischi calcolati da chi ha il piede e la testa per assumersi determinate responsabilità. Perché qualche passaggio errato può capitare, ma le sue verticalizzazioni, i suoi palloni invitanti, il suo fraseggio e i suoi stop incollati al piede avevano già catturato l’interesse e parte dell’entusiasmo di chi, da tempo, bramava qualità in un reparto ingolfato di energia e muscoli, ma anche di timidezza, grossolanità e banalità col pallone tra i piedi.
Invece Banega non ha paura di arretrare la sua posizione, farsi dare il pallone, iniziare la manovra, smistare la sfera qua e là per farsela ridare ancora e poi andare a rifinire. Tante giocate, ovvietà ridotte la minimo sindacale, movimento costante lungo tutto il fronte del campo senza concentrarsi in una posizione eccessivamente rigida, voglia di cercare la soluzione più interessante possibile e trovarla, con il contributo di Joao Mario, con il quale sembra dialogare in maniera efficace e godibile per occhi dallo spiccato senso estetico.
Non si può oltretutto sottovalutare la sua straordinaria abilità nel battere i calci piazzati; pennellate che rappresentano sempre dei pericoli per le difese avversarie e cioccolatini per i suoi compagni di squadra. Icardi ne sa già qualcosa. I tempi delle soluzioni corte e dei palloni alti e lenti sembra essere definitivamente alle spalle. A chiudere il quadro, una propensione in fase di non possesso che non guasta, a costo pure di rimediare un’espulsione. Per il bene comune anche il più grande degli artisti è pronto a sacrificare la propria arte.