Borgo Val di Taro, i monti sullo sfondo in una coinvolgente e fragrante varietà di funghi porcini. Qui, tra le campagne emiliane, nasce, ad un passo da Parma, il 10 giugno 1936, Eugenio Bersellini. È soprannominato il Sergente di ferro ed il motivo è chiaro: il suo mantra, infatti, era fatica, corsa, pressing ed ancora fatica in un vortice continuo in cui mai ci si doveva fermare. Ne valeva la pena? Si chieda a Beccalossi quante sedute extra ha dovuto sopportare per il suo dolce vizio dei pasticcini. È questo il segreto del suo successo: una preparazione atletica fatta di metodi bruschi, ma vincenti.
DNA DA ALLENATORE – A soli 32 anni siede già in panchina: in Serie C al Lecce, ultima sua squadra da calciatore. È il 1968, l’anno dell’inizio della sua ultratrentennale carriera da allenatore. Non arriveranno successi straordinari nel primo periodo in panchina, ma ciò che sorprese gli addetti ai lavori è la sua cultura maniacale del lavoro. È tosto ma semplice il Berse: il suo calcio è basilare, aiutato da schemi presi dal basket, altro amore giovanile del tecnico emiliano. In un’escalation fulminante, passa alla Serie B a Como con Beltrami, direttore sportivo dei lombardi che coniò quel suo soprannome: Sergente di ferro; dopo due stagioni a Como, arriva la Serie A col Cesena. È il 1973, e Bersellini in 5 anni si ritrova ad allenare una neopromossa per due stagioni e altrettante salvezze tranquille. Così, la Sampdoria ne approfitta per ingaggiare uno dei migliori tecnici in Italia. Un altro biennio a Genova, ma non tutto va come dovrebbe: nella prima stagione arriva una sofferta salvezza, mentre nella seconda una clamorosa retrocessione in Serie B. Sembra l’inizio della fine, invece no. Ivanoe Fraizzoli, presidente dell’Inter, decide di chiamarlo alla guida della squadra nerazzurra.
L’INIZIO DEL QUINQUENNIO – È il 1977, Bersellini ha il compito di ricostruire, tra lo scetticismo totale dell’ambiente nerazzurro, una Beneamata sempre più povera degli illustri campioni della Grande Inter. Infatti, con Facchetti capitano, inizia la storica avventura di uno degli allenatori più amati dai tifosi nerazzurri. Fraizzoli, presidente parsimonioso, adoperò la nuova linea societaria: puntare sui giovani e sul settore giovanile. Così si acquistarono Altobelli e Scanziani, lanciando dalla Primavera un giovanissimo Giuseppe Baresi. In campionato arriverà solamente un quinto posto, mentre in Coppa Italia, Bersellini metterà in bacheca il suo primo trofeo. Infatti, l’Inter, guidata da Altobelli, conquista la seconda Coppa Italia della sua storia, 39 anni dopo la prima. Ma non è tutto: l’estate che porterà alla stagione 1978/1979, oltre all’acquisto di Beccalossi, sarà storica per tutto il calcio italiano.
LA TOURNÉE IN CINA – L’Inter e la Cina nel destino: 38 anni fa, infatti, i nerazzurri furono i primi in Italia ad andare a giocare nel Paese del Sol Levante. Il bisogno di comprendere al meglio una grande realtà come quella cinese, la voglia di conoscere da vicino i grandi passi di un gigante che faceva paura agli Stati Uniti e al mondo intero, portò ad organizzare una tournée in questa terra sconosciuta. I nerazzurri giocarono 4 partite in 13 giorni, due giorni dopo il trionfo in Coppa Italia. I convocati di Bersellini erano 17 tra cui un 18enne Zenga e, ad accompagnare la squadra c’erano anche il presidente Fraizzoli e qualche dirigente nerazzurro. Inoltre, gli occhi erano puntati tutti su Beccalossi, nuovo colpo di mercato nerazzurro. Ci sarà il tempo per uno storico ritorno in campo di Mazzola, l’esordio di Zenga, i primi numeri di Beccalossi in maglia nerazzurra, ma anche una clamorosa sconfitta contro il Pechino (i nerazzurri erano affaticati dalla visita alla Grande Muraglia n.d.r.). Ma gli stati d’animo erano diversi, quasi opposti: si va dalla delusione di Fraizzoli, infastidito dalle tre partite senza vittorie (altri due pareggi con la Nazionale cinese n.d.r.), alla tranquillità di Bersellini che voleva soltanto testare i nuovi arrivati, senza mettere pressioni deleterie per una tournée che serviva solo come iniziativa di marketing e nient’altro. Nell’ultimo match, però, arriverà la vittoria: 3-1 al Canton e presidente accontentato. Tra le curiosità della trasferta cinese: i giocatori nerazzurri spesero circa 50 milioni di lire, la moglie del sergente non era proprio di ferro, tanto che prima di partire aveva fatto testamento. Così, si concluse una prima storica tournée in terra asiatica: tra il caldo e la stanchezza, la squadra si avviava alla seconda stagione con Eugenio Bersellini sulla panchina nerazzurra.
LO SCUDETTO DEI 16 – La seconda stagione in nerazzurro fu avara di risultati, soprattutto per la giovane età della squadra e per una carenza tecnica non del tutto colmata da Beccalossi. Sarà quarto posto, ma soprattutto sarà il preludio all’anno della riscossa nerazzurra. Stagione 1979/1980 l’Inter si laurea Campione d’Italia per la dodicesima volta nella sua storia: merito dell’allenatore di campagna che ha saputo plasmare un’Inter operaia composta da solamente 16 giocatori, tutti italiani. Una squadra guidata dal micidiale Spillo Altobelli, dalla fantasia di Beccalossi e dalla tenacia di Oriali, ma soprattutto pragmatica, sanguigna e dura a morire, ad immagine e somiglianza del suo Sergente. L’Inter rinasce come una fenice, grazie al settore giovanile (8 componenti provenivano dalla cantera nerazzurra n.d.r.): uno scudetto dedicato a Giuseppe Meazza, leggenda nerazzurra scomparsa quell’anno. Due le partite più significative di quella stagione magica: il derby della Madonnina contro il Milan alla settima giornata e il derby d’Italia contro la Juventus di Trapattoni. Nel derby esplose definitivamente il talento ed il personaggio di Evaristo Beccalossi. Infatti, una sua doppietta sconfisse il Milan ed al termine del match, formulerà una frase che rimarrà celebre: “Mi chiamo Evaristo…Scusa se insisto”. Due settimane dopo toccò alla Juventus subire l’esplosione di un altro talento nerazzurro. Nel poker rifilato ai bianconeri, infatti, c’è lo zampino di Spillo Altobelli che con una tripletta in 31 minuti travolse la Vecchia Signora. Sarà lo scudetto dell’onestà: scoppiò il Totonero, Lazio e Milan in Serie B, e l’Inter totalmente estranea, parola di Bersellini.
IL TRIONFO PRIMA DELL’ADDIO – Nella stagione successiva, Bersellini affronta per l’unica volta nella sua carriera il cammino in Coppa dei Campioni. E sarà un cammino entusiasmante, fermato però, in semifinale dal Real Madrid di Santillana, vera bestia nera dei nerazzurri. In campionato ci sarà un modesto quarto posto, ma con un esordio importante in casa nerazzurra: dalle giovanili si fa largo Giuseppe Bergomi. Ma i trionfi di Bersellini non sono finiti qui: nella stagione 1981/1982 l’Inter vince la Coppa Italia, la seconda targata Sergente di ferro, la terza della storia nerazzurra. E nello stesso anno, un altro giovane viene lanciato in campionato: si tratta di Riccardo Ferri, altro nerazzurro destinato a far la storia dell’Inter. Si chiude così il quinquennio nerazzurro del tecnico emiliano, elogiato per aver forgiato una squadra dall’indissolubile tenacia e forza di volontà. Ma la sua carriera proseguirà in un autentico giro d’Italia, con esperienze all’estero ad insegnare la sua filosofia. Infatti, ci sarà spazio per il Torino, per un ritorno vincente con la Sampdoria (Coppa Italia 1984/1985), passando per Fiorentina, Avellino, Ascoli, di nuovo Como, Modena, Bologna, Pisa e Saronno, prima di guidare nel 1998/1999 la Libia di Gheddafi e poi 3 anni dopo, nel 2002, conquistare il campionato libico con l’Al-Ittihad. Il suo ultimo incarico nel 2007 è a Sestri Levante, squadra ligure di Serie D.
BERSELLINI UOMO TUTTO D’UN PEZZO – L’incontentabile, l’umile e pretenzioso Sergente che nemmeno dopo uno scudetto era soddisfatto dei suoi ragazzi che hanno lasciato sudore, fiato e sangue per la sua causa. Un uomo che come pochi nella storia ha plasmato una squadra di giovani, pescati dal settore giovanile o dal mercato italiano. Altobelli, Baresi, Bergomi, Beccalossi sono solo alcuni dei nomi lanciati dal tecnico emiliano. Un uomo pieno di aneddoti, storie da raccontare perché la sua carriera è stata intensa, piena di pagine memorabili e campioni lanciati: non solo quelli nerazzurri, ma anche Vialli, Mancini, lo sfortunato e compianto Andrea Fortunato. Il Sergente ed i suoi metodi burberi: la vasca del fango è la più celebre e criticata dalla stampa. Un terreno arato e bagnato tutti i giorni: lì si facevano sedute molto pesanti per rinforzare la muscolatura dei giocatori che se ne lamentavano troppo, soprattutto Beccalossi che a causa dell’amore per i pasticcini, subiva sedute extra agli ordini del preparatore Onesti, soprannominato killer dai giocatori nerazzurri. Un rapporto di amore ed odio con i giocatori, prima bersagliati col bastone e poi coccolati (senza esagerare) dopo una buona prestazione. 80 anni di un uomo tutto d’un pezzo, intriso di valori che il calcio italiano ha perso da tempo: umiltà, sagacia, grinta, carattere e voglia di allenarsi senza mollare mai. Bersellini è l’esempio di un calcio d’altri tempi, un calcio che non si identifica più con il sistema attuale, in cui trovare principi e valori come modestia e dignità è diventato più unico che raro.