IL CANTO DI NATALE – “Sono Josè e non sono un pirla”

C’era una volta…Tutte le favole dovrebbero cominciare così, ma forse questa non la è, anzi per dirla tutta, credo si tratti della pura verità. Come ogni anno, la notte di Natale, Appiano, Corso Vittorio Emanuele e la Pinetina erano deserte, per qualcuno a Nanchino così come a Giakarta, era già mattino e molti altri, in giro per il mondo ma più a ovest, attendevano la sera più attesa dell’anno.

Ma c’era chi non dormiva e legato a pesantissime catene si aggirava per le sale, i musei e gli spogliatoi nerazzurri. Era Walter, effimero quanto reale, sofferente e attivo, evanescente e concreto più che mai. Sotto le catene che gli impedivano agili movimenti, si intravedeva una maglietta sbiadita e lisa, ma su cui ancora si distinguevano i colori del cielo e della notte.  Volava per le stanze guardando coppe e trofei, filmati e fotografie, fino a trovare chi cercava. Era lì, davanti a lui, il Biscione, la Maglia senza padroni, fondata e tessuta un’altra notte fredda e umida, quella del 9 marzo 1908. Si guardarono senza proferir parola per lunghi minuti, erano vecchi conoscenti, ma mai il Biscione si sarebbe aspettato di trovarselo davanti in quel momento.

Walter mostrando le catene al vecchio amico, ruppe il silenzio: “Hai perso l’anima amico mio…”. “No! – ribatté il Biscione che sfoggiava l’unica antica Maglia, ma mai invecchiata – ho perso solo la vittoria”. Lo spirito sempre più affaticato dal peso di quelle penitenze di ferro, lo fermò: “No, stai perdendo l’anima e devi stare molto attento perché rischi di non ritrovarla mai più. Questa notte vedrai. Ora il mio tempo si è fatto ed il mio compito assolto. Qualcun altro verrà”. E Walter così come era apparso, così svanì nel nulla. L’amico rimase interdetto, spaventato e non seppe che aspettarsi. Non passò molto che una lunga auto nera, con finestrini oscurati e grandi fari si arrestò nella sala dei trofei, dove il Biscione si era fermato. Ne uscì uno spirito, più alto e snello del primo spirito, elegantissimo, serio e con delle lacrime impresse sul volto, che poi ebbe a sapere che erano lì da una notte non lontana, quella del 22 maggio 2010. Senza neppure un saluto ed una presentazione esclamò subito: “Seguimi!”. “Spirito almeno dimmi il tuo nome”.
“Sono Josè e non sono un pirla” lo prese per un braccio ed iniziarono il viaggio.

20100222 - MILANO - SPO -CALCIO: PROCURA SEGNALA 'MANETTE' A GIUDICE,MOURINHO RISCHIA COMPORTAMENTI TECNICO NEL MIRINO, IN ATTI ANCHE EPISODI TUNNEL. L'allenatore dell'Inter Josè Mourinho mima il gesto delle manette durante la partita contro la Sampdoria, il 20 febbraio 2010, allo stadio Giuseppe Meazza per l'anticipo serale della 25° giornata del campionato di Serie A. ANSA/MATTEO BAZZI/DC
Passarono per Roma ed era il 2008 e il Biscione rivide una Supercoppa, “Quella la conosco…” esclamò, ma non c’era tempo per fermarsi e Josè gli fece segno di stare in silenzio. Andarono nel 2009 e videro un luminoso scudetto e ammirarono un mago dal nome strano, Ibracadabra. Poi questo scappò via e fu subito 2010, un Principe argentino li attendeva e vedendoli passare mostrò loro una Coppa Italia e un altro scudetto, questa volta ancor più bello del precedente. Volarono in una città calda dove c’era una statua con un orso ed un corbezzolo, si fermarono davanti al suo stadio illuminato a festa e reso immortale da fuochi d’artificio e da un eterno numero 4 con  una strana coppa in testa. Era decisamente la coppa più bella, il Biscione avrebbe voluto toccarla, ma Josè gli disse “Adesso la cosa più importante”. Si trovarono a Milano, dentro lo spogliatoio e videro ragazzi abbracciarsi, darsi delle pacche sulle spalle, correre l’uno per l’altro, vide un portiere dall’accento brasiliano piangere, ridere e sgolarsi per i suoi amici. Notò Josè, questa volta in carne ed ossa, che incrociando i polsi, gli faceva il simbolo delle manette e gli sussurrava: “Soli contro tutti”“Prima che vada, dovrai ricordare anche questo”. Si videro banchieri spietati, carte di fallimento, dirigenti impazziti, calciatori inermi maltrattati e svenduti al Minor offerente, vide persone voltargli le spalle e addirittura qualcuno cambiare casacca. Josè rimontò in macchina :”Ora il mio tempo si è fatto ed il mio compito assolto. Qualcun altro verrà“.

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