EDITORIALE – Caro John, non è questione di perdere è una questione di stile (e di storia)

In un paese dove la libertà di espressione è spesso fraintesa con la possibilità di sparare qualsiasi cazzata passi per la testa fregandosene degli altri e dove, come dice qualcuno, nel paese della bugia la verità è una malattia, proviamo a dare uno sguardo alla patologia ed alla storia.
Premesso che sia difficile se non impossibile insegnare una morale, se proprio lo si deve fare che almeno l’insegnante si possa scegliere e magari John Elkann, avi e posteri si possano escludere dai modelli di stile (e storia).

Il capostipite Giovanni Agnelli fondò il gruppo Fiat nel lontanissimo 1899 e tra difficoltà oggettive e crisi dei primi del ‘900 la società non navigava nel lusso. Si sa che il fine giustifica i mezzi e a proposito di stile e signorilità l’importante è stare con i più forti e VINCERE, così tanto per abituarsi. Quindi bastò mettersi con gli interventisti nella Prima Guerra mondiale per fare della Fiat la maggior azienda italiana alla fine della guerra. E poi, come ricorda la penna affilata di Pino Cacucci, bastò passare con i fascisti, esserne sostenitori e per non sbagliarsi diventare un senatore di quel senato monocolore, per continuare a vincere e tracciare i solchi della tradizione.
Come per incanto, parallelamente, la Juventus si classificò ultima nel campionato regionale 1912/1913 non per angherie giudiziarie o calciopoli in bianco e nero, semplicemente perché erano più scarsi, ma venne ripescata…No, non c’entrano gli Agnelli, loro arrivarono solo nel 1923 e fu amore a prima vista.
La storia della nascita della 500 sotto Benito Mussolini fu tragicomica, andrebbe approfondita in un capitolo a parte, ma fidatevi fu spassosa e naturalmente “vincente“.
Giunse poi la seconda guerra mondiale e fu un vero e proprio tripudio per la società della nobile famiglia, senza contare le carrette che essa produceva per il povero esercito italiano e la condizione in cui i dipendenti erano costretti a lavorare. Presa dall’entusiasmo, la famiglia per i suoi beni riuscì anche a chiedere i danni di guerra per i bombardamenti degli alleati sugli stabilimenti e finì per essere più bella, più nuova e più vincente di prima, con un bel colpo di straccio sul passato. In barba agli italiani che continuarono a pagare e a subire.
Venne l’era di Gianni Agnelli e fu uno spasso per i comunicati urbi et orbi “la Fiat è degli italiani” mentre gli aiuti statali riempivano le casse dei vincenti.
La storia della Juve è sempre andata di pari passo con quella della Fiat, degli Agnelli e dell’impero dell’IFI che conteneva tutto, ma proprio tutto il possibile e l’immaginabile.

Senza dilungarmi, in ambito sportivo si arrivò agli anni ’90…ne vogliamo parlare? Ai processi per doping, al 1998…alla triade, a Moggi, a Calciopoli, agli scudetti di cartone, a dio piacendo alla serie B e alla loro gloriosa rinascita con un bel colpo di straccio sul passato. Per esperienza diretta (se non mi credete provate a chiedere agli addetti ai lavori…) circola voce che il più scaltro, il più acuto ed il più capace tra i fratelli Elkann, che da quel che si legge sui giornali sono i nuovi eredi dell’impero, è Lapo e non John. Non c’è da ridere, sembra essere proprio così.
Per tradizione, storia, stile, Loro sono i vincenti ma se così è, mi tengo il fascino dello sconfitto.
Anche perché se è vero come diceva Churchill che “gli italiani perdono le partite di calcio come se fossero guerre e perdono le guerre come se fossero partite di calcio”, dal loro stile abbiamo imparato tanto in entrambe le situazioni, senza dimenticare che chi lotta può anche perdere, mentre chi non lo fa, anche se vince, ha già perso.
Di Rizzoli importa poco, dell’ultima Juventus-Inter ancor meno e non è l’invidia a farci parlare, ma il coraggio e la consapevolezza di esser diversi.
Caro John, grazie di tutto e tieniti il tuo stile.

Comunque è solo un gioco, è solo calcio: qua la mano!
(o forse no?!?)

 

 

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