Eppure ieri mattina mi ero svegliato con un piacevole ricordo in mente, mai avrei pensato che, dopo poche ore, mi sarei ritrovato a vomitare bile su Facebook, a scaricare la desolazione per uno spettacolo sconcertante, a dover spiegare ad altrettanti tifosi, lettori e follower le ragioni di un crollo impronosticabile. Lo stesso social network era stata la causa del sorriso col quale avevo iniziato questa lunga giornata: mi aveva rammentato infatti come, esattamente un anno fa, l’Inter fosse andata a giocare a Frosinone per la prima volta nella sua storia. Una sorta di piccolo sogno, la mia squadra del cuore a pochi chilometri da casa, dal posto in cui sono nato e cresciuto tifandola, purtroppo spesso a distanza, ma sempre con lo stesso entusiasmo e la medesima passione. Un’occasione, tra l’altro, che mi aveva permesso di ottenere il mio primo accredito stampa, di rapportarmi all’evento e alla squadra quasi alla stregua di un vero professionista. Il mio territorio, spesso trascurato e snobbato, idealmente e strettamente connesso a un’identità che ho deliberatamente scelto e abbracciato, nella dimensione a cui aspiro, che bramo e inseguo. Un quadretto perfetto sublimato dalla vittoria con gran goal di Mauro Icardi, contro un Frosinone che aveva orgogliosamente tenuto testa a una squadra molto più forte e attrezzata, tanto da recriminare per aver colpito ben tre legni.
La partita di ieri a Crotone si presentava, per l’appunto, come un perfetto remake della trasferta ciociara di 365 giorni prima, con la sola logica eccezione della differente location e del fatto, consequenziale, che io non fossi all’Ezio Scida ma nella mia stanza romana da studente fuorisede. Crotone però, proprio come Frosinone, ha atteso con ansia la prima storica venuta della squadra nerazzurra, accolta trepidamente ed entusiasticamente dal popolo locale. Avevo notato in qualche servizio come tanti tifosi calabresi si fossero recati in massa presso il ritiro di Icardi e compagni, speranzosi di poter ottenere un selfie, un autografo, un ricordo di una prima fantastica esperienza. Scene che avevo avuto il piacere di vivere in prima persona. Anche lo stadio aveva una percentuale notevole di nerazzurro, non solo nel settore riservato ai tifosi ospiti, ma anche in altre parti dell’impianto: li ho notati dal mio schermo, giovani e vecchi, agitarsi nella tribuna principale dopo qualche fischio di Guida poco gradito. D’altronde, cosa c’è di strano? L’Inter è da sempre nel podio delle squadre più tifate d’Italia, con una portata di supporters che travalica abbondantemente i limiti del proprio bacino geografico di origine. L’Inter è un’importante, ricca e lunga storia nazionale.
Un particolare non affatto indifferente che, al momento, sembra sfuggire alla componente primaria, vale a dire all’Inter stessa. Ai giocatori innanzitutto, chissà se anche all’allenatore, ai dirigenti e alla proprietà, che però, ad ora, può e deve essere giustificata per la semplice e vitale necessità di adattamento culturale. E’ comprensibile che dalla Cina non sappiano ancora cosa comporti esattamente l’acquisto di una gloriosa società calcistica italiana, ma dai protagonisti, anzi, dalle comparse che vanno in campo, è doveroso attendersi sempre un impegno che sia consono alle proprie effettive possibilità, al blasone, all’onore e al peso che determinate maglie, che siano a strisce o a bibita gassata, richiedono. La consapevolezza dell’impossibilità di andare in Champions League per un’altra stagione non è affatto un alibi dignitoso per giustificare una prestazione che, di dignitoso, ha avuto ben poco. E’ stato inaccettabile vedere 45 minuti di gioco nei quali le uniche gesta egregie fossero dei padroni di casa. Il primo tempo è stato quasi un oltraggio al buon nome del calcio, a quanti avessero gremito le tribune con entusiasmo. Una fase offensiva sterile, una fase difensiva sbadata, un insieme osceno di passaggi e controlli sbagliati, dietro ai quali si malcelava tanta superficialità, tanta leggerezza, un malessere di fondo per obiettivi vicini all’evaporare nuovamente.
Ma non sono gli obiettivi, la Champions o l’Europa League ad aver spinto i padri e i nonni di Crotone e provincia a portare i loro figli e nipoti allo stadio. E’ stata la fede in un’entità materiale viva da quasi 110 anni e che attraverso questa fede si nutre per alimentare la propria leggenda. Una fede che sa e non pretende di poter essere ricambiata sempre a suon di vittorie, successi e trofei, ma da impegno, voglia e determinazione sicuramente. Probabilmente alcuni degli interisti presenti a Crotone non avevano mai visto la loro squadra dal vivo e la data di ieri l’avevano cerchiata sul calendario sin dal momento dei sorteggi di agosto. Se ne sarebbero voluti ritornare nelle loro case con il ricordo di un bel pomeriggio di sport, soleggiato, caldo e vincente. Invece quest’ultimo aggettivo è rimasto incompiuto, per colpa di chi non ci ha nemmeno provato, perché a cosa serve continuare a provarci se la Champions League resta una chimera?
Serve, perché è così che si costruiscono e si cementano le squadre, non trovando una temporanea unità di intenti dinanzi a illusioni e utopie facilmente dissolvibili al primo serio vento, ma mostrando di saper reagire alle difficoltà e di voler costruire qualcosa che sia più duraturo di una rincorsa alla Champions. Romanisti e napoletani non gradiscono di essere eliminati e sconfitti da laziali e juventini, ma coloro che ieri si sono recati a Bologna e a Roma possono affermare di tifare delle squadre vere, che non smettono di essere tali solo perché, anche quest’anno, scudetti e coppe rischiano di rimanere tabù. Lavorare per diventare squadra e poi lavorare per vincere. Non si può saltare direttamente al secondo step, pena una caduta e un atterraggio più fragorosi. Chi ha forse, a malapena, la possibilità di andare al Giuseppe Meazza una volta l’anno, avrebbe voluto vedere una squadra capace di reagire, soffrire, resistere, prevalere. Senza passeggiate di salute, ma con serietà. Perché magari il prossimo anno altri giocatori cercheranno fortuna altrove, alcuni forse riusciranno davvero a diventare grandi con l’Inter, ma con buona probabilità, facendo i debiti scongiuri, ci sono persone che vivranno per tanto tempo con un unico ricordo non consono alla loro passione, ai loro sogni, al loro orgoglio di tifosi che hanno deliberatamente scelto di appartenere a una storia nonostante i chilometri di distanza. Loro, gli Interisti di Crotone.