Il potenziatore ha esaurito il proprio tocco magico. L’esperienza di Stefano Pioli in nerazzurro è ormai quasi certamente giunta al capolinea, ma cosa lascerà questa breve parentesi?
L’UOMO SBAGLIATO NEL MOMENTO SBAGLIATO
Pioli non è un allenatore scarso. Questo no, tutt’altro. Tuttavia probabilmente non è ciò di cui l’Inter aveva, ha o avrà mai bisogno. Ogni società calcistica ha una sua intelaiatura profonda, un retaggio che le rimane attaccato come una seconda pelle. Un marchio che la contraddistingue. Quello dell’Inter non è solo la pazzia, ma è anche il bisogno cronico, se si vuole vincere qualcosa, di qualcuno dal carattere volitivo, una guida che funga da parafulmine. Nella storia del club nerazzurro, la squadra non ha mai vinto con le carezze, ha sempre avuto bisogno delle bastonate.
Le grandi vittorie sono arrivati con Herrera, Mourinho, Trapattoni, o in alternativa con gente in organico molto volitiva, senatori che si prendevano responsabilità enormi. Ci vuole però una congiunzione astrale particolare affinché ciò accada, ma quando l’Inter ha l’uomo giusto al momento giusto, può volare, qualsiasi siano i risultati precedenti. Tuttavia purtroppo non è il caso dell’attuale allenatore: Pioli è l’uomo sbagliato al momento sbagliato.
UN ARRIVO IN SORDINA E UN FILOTTO PREGNO DI ILLUSIONI
Pioli ha comunque molti alibi, alibi che comunque non lo esentano da colpe. Innanzitutto Stefano ha ereditato una squadra allo sbando, senza gioco e senza idee. L’addio a inizio stagione di Mancini e la successiva disastrosa gestione De Boer avevano privato la squadra di tutto. La situazione era disastrosa e il lavoro da fare davvero enorme. Tutti davano l’ex Lazio come un semplice traghettatore, appellativo però sempre rifiutato dal tecnico, che preferiva “potenziatore”.
Nonostante le premesse tutt’altro che rosee, Pioli, con pazienza certosina, si era messo all’opera, cercando di partire dalle pochissime certezze nerazzurre e di costruirci intorno un meccanismo funzionante. E, dopo un avvio in sordina, i risultati, contro ogni pronostico, iniziarono ad arrivare. 9 vittorie consecutive, proclami, cartelloni, sogni utopici di rimonta, cori allo stadio e goleade. Ma era solo il canto del cigno… L’abisso era li, in agguato.
UN CROLLO IMBARAZZANTE E INSPIEGABILE, UN FINALE DA INCUBO PER QUELLA CHE SEMBRAVA UNA FAVOLA
Come tutti i suoi predecessori che hanno dovuto ereditare una squadra virtualmente morta a livello caratteriale dopo la rifondazione post triplete, la favola è finita proprio sul più bello. Il potenziatore ritorna il normal one, esce sconfitto e scornato. Il sogno finisce con un terribile incubo.
Un crollo verticale, come successe a Ranieri e Stramaccioni, ma di proporzioni imbarazzanti. Una caduta rovinosa e rumorosa, proprio perché giunta al culmine della parabola, a pochi passi dal raggiungimento della tanto agognata meta.
Non esiste una spiegazione razionale per una involuzione tanto rapida e catastrofica. Tuttavia bisogna prendere atto che, pur con tutti i suoi limiti, le colpe non sono solamente dell’allenatore. Pioli ovviamente e stato crocefisso e pagherà diventando il capro espiatorio di questa debacle, tuttavia l’organico ha colpe anche più gravi.
PIOLI AL CAPOLINEA: CHE AMMUTINAMENTO PER IL POVERO “POTENZIATORE”
Dall’oggi al domani non pare verosimile che dei giocatori di ottimo livello, dei “quasi campioni” diventino dei brocchi, tuttavia la realtà è lì, ineluttabile. Non soltanto nei numeri. Le prestazioni, specie a livello caratteriale, non solo non sono da Inter, ma non sono nemmeno da calciatori professionisti.
La società dovrà prendere provvedimenti a riguardo, perché se si ricorrerà al cambio sistematico del mister senza valutare il vero valore, soprattutto morale, dei giocatori, non si andrà lontano. Si sprofonderà in una palude come nella prima gestione morattiana, con cambi di allenatore ogni trimestre, giocatori sopravvalutati e stra pagati, caos societario e tifosi scontenti. Questo disinteresse per i colori non può e non deve restare impunito, Suning dovrà tenerlo presente fin da subito.
GLI ERRORI DEL NORMAL ONE
Pioli lascia in eredità un fallimento pesante, originato da colpe non sue, ma a cui lui volente o nolente ha preso parte. Le sue colpe? Il poco polso forse, l’incapacità di riuscire a tenere sulla corda uno spogliatoio con caratteri e nazionalità così diverse. La mancanza di leggere i big match, di fare la partita quando conta davvero, di fare i cambi giusti per gestire il vantaggio e al contempo evitare mugugni nello spogliatoio (vedi Gabigol). L’ostinarsi a ritagliarsi intorno questa immagine “operaia”, da rispettare ovviamente, ma che in nerazzurro non ha mai funzionato. Atteggiarsi così in un momento tanto complicato stona, rischia di giustificare lo scarso impegno dei giocatori.
Pioli in fin dei conti è stato tradito forse dalla troppa fiducia nel proprio lavoro e in una rosa sopravvalutata. Così facendo l’eccessiva sicurezza paradossalmente lo ha trascinato in un vortice di insicurezze che lo ha portato a compiere sempre le scelte sbagliate e a inimicarsi i pochi fedeli rimasti nello spogliatoio. Pioli ha fallito, ma è in buona compagnia. Suning ha fallito, Ausilio ha fallito, l’Inter ha fallito.