I risvegli che fanno bene sono come quello di oggi. Apri gli occhi, guardi il cellulare per leggere ancora sfottò e pareri illustri, ordini a tuo fratello, che sta uscendo, di comprare la Gazzetta dello Sport. Poi però arriva il bello, perché hai la possibilità di estendere a tanti le tue idee, le tue sensazioni. Tutte molto belle. D’altronde, come potrebbe essere altrimenti?
Vincere un derby al novantesimo al termine di una partita vibrante, vincerlo con tre goal del proprio uomo simbolo, del proprio capitano, Mauro Icardi, è roba per cuori forti. E’ materiale per uno spettacolo ad alta definizione, è la trama di una storia che, seppur appena all’inizio, ha già un suo lieto fine. Perché se, alla fine dei giochi, conta sempre come e quanto si arriva al traguardo, non si può mica ignorare la bellezza del percorso intrapreso, le sue asperità, le sue meraviglie. E non c’è meraviglia più grande del meravigliarsi ancora. Per una partita, per un giocatore, per una squadra, per un risultato. “Per aspera ad astra” recitava ieri la coreografia della curva rossonera. Non avevano fatto i conti con il vero astro della serata. Con colui che indossa da anni, in maniera egregia, la maglia nerazzurra numero 9.
Eppure, bisogna ricordarlo, le aspera si presenteranno anche quest’anno, pronte a ricordarci che non c’è gioia senza la giusta sofferenza, soprattutto nella storia interista. Non che non sia stato straziante vedersi rimontare due volte, anzi, ma quando la sofferenza si presenta come atto preparatorio alla gioia più genuina e irrefrenabile, si arriva a considerarla addirittura come una mano santa, come l’ingrediente essenziale atto a rendere le serate, e i risvegli, più speciali.
Oggi non c’è bel gioco che tenga, non esistono goal subiti, nemmeno infortuni. Oggi è solo il giorno adatto per guardarsi attorno e scoprire quanto e quante volte le cose possano cambiare in un anno. 365 giorni esatti fa Icardi era in aperta polemica con la Curva Nord per alcuni stralci della sua biografia, spediva malamente un rigore a lato contro il Cagliari e scopriva tutta la fallacia del primo piano sportivo di Suning targato Frank de Boer. Ora il condottiero è cambiato. E’ un uomo forte Luciano Spalletti, che non balbetta l’italiano ma che, invece, maneggia magistralmente le parole della propria lingua per ammaestrare la squadra, per renderla forte, fiera e orgogliosa di indossare la maglia nerazzurra. Per addomesticare tutti coloro che ora si affannano a definirci l’anti-Napoli, una contendente allo scudetto. Lui sa che il lavoro non è affatto concluso, che quel traguardo risulta ancora parecchio distante e che, se le cose non proseguiranno come si deve, la serata di ieri rischia di trasformarsi nella classica oasi nel deserto, nell’unica perla preziosa di una collana di poco valore.
Non lo vogliamo, perché un derby vinto così ci ricorda solo quanto possa essere inebriante il profumo dell’alta classifica, della vittoria come unica condizione possibile. Sensazioni che non dobbiamo smarrire, di nuovo, con troppa fretta. Nonostante ora, all’orizzonte, compaia un ostacolo ancora più grosso di quello palesatosi ieri sera. E’ all’apparenza piccolo, ma sa colpirti a più riprese con una velocità disarmante. Potrebbe far paura, ma la paura non è uno stato d’animo contemplabile quando hai già dimostrato di saper vincere le battaglie più insidiose, più sentite, più luminose.
E allora lasciamola luminosa il più a lungo questa luce che ha iniziato a brillare già da agosto, capace però di tenersi in ombra per esplodere nel momento più opportuno. Speriamo solo che questa luce non abbia già finito le sue scorte. Noi, francamente, pensiamo di no. Certe luci non si possono spegnere così facilmente.