L’ALBA DEL GIORNO DOPO – La grande (s)Ventura

Italia fuori dal Mondiale. Niente Russia 2018 per gli Azzurri. Scrivere già così fa male, mai avremmo immaginato di poter toccare ancora più il fondo dopo Sudafrica 2010 e Brasile 2014. I giocatori volevano più vacanze? Accontentati. Ventura voleva più libertà? Accontentato. E Tavecchio?

Un’eliminazione che nasce da lontano

L’Italia fuori dal Mondiale, dopo spareggio con la Svezia, è il risultato di tante fette di prosciutto sugli occhi. Una generazione che solo oggi tocca l’apice, al ribasso, di (buoni) gregari ma senza campioni.

Era dal 1958 che la Nazionale non saltava il campionato più importante a livello calcistico, quella manifestazione che per un’estate ti esalta, ti unisce e fa rifiorire l’Amor di Patria del Romanticismo.

Ma Amor di Patria dove? In chi riporlo sopratutto?

Appartengo alla generazione delle Notti Magiche, quella dove l’inno del Mondiale 1990 era eccitante quanto vedere gli stadi italiani stracolmi di bandiere. Poi uscivano i beniamini dei bimbi, Zenga, Baggio, Schillaci e così è stato per tanti anni, dove era eccitante vedere il top del calcio italiano giocare insieme, dal già citato Codino a Del Piero, Vieri, Totti, Nesta e Cannavaro.

Vien da piangere solo a nominarli.

Ma non può essere solo colpa dei calciatori, o per lo meno, non di questi scesi in campo nella doppia sfida. L’Italia questa è, figlia del poco sviluppo del settore giovanile (vedi Germania, Francia, Spagna e Brasile che fior di giovani fanno spuntare ogni volta), figlia del “andrà bene comunque” che nasce dai piani alti, dove in tanti stanno facendo dimenticare il sogno chiamato maglia azzurra.

E’ la generazione delle creste, dei tatuaggi, delle femminucce che nelle partite che contano tirano indietro la gamba. E’ dura da ammetterlo, ma gente come Gattuso e Materazzi farebbe tabula rasa di questa Nazionale.

Ventura aveva già un piede e mezzo nella fossa. Lo aveva perché non poteva reggere il paragone con chi sarà il successore, perché un Conte, un Ancelotti e un Mancini hanno più fascino di un c.t. che mai ha convinto e che con quella faccia buona ricorda, da interista, l’avventura di Gasperini in nerazzurro, troppo calmo e pacato per svegliare una banda addormentata.

Manca la cultura del sacrificio. Diceva bene Peschici della Ternana: “In Serie B c’è gente migliore di chi è in Nazionale“. Non lo sapremo mai, ma di certo la serie cadetta è quella più predisposta ad allevare talenti che poi si perdono in una Serie A extra large, con il bruciarsi facile per il poco spazio.

Prendete ad esempio la MotoGP. Chi domina nella classe regina del motociclismo è lo stesso personaggio (Marquez, Zarco, Vinales, Lorenzo, Dovizioso) che pian piano è cresciuto a “pane e botte” dalle classi minori, un passaggio da campioncini a uomini che li ha fatti maturare.

Nel calcio italiano non esiste tale percorso. Si cresce in Lega Pro, si fa a sportellate in Serie B poi si arriva in A, dove giochi di potere e soldi fermano qualsiasi sogno.

Ultima cosa, la rabbia nel vedere chi gode delle disgrazie altrui, da Ballack che Twitta “Pray for Italy” dimenticandosi che il suo faccino sbuca nelle foto del gol di Grosso a l’Equipe che titola “Ciao Italia“.

Ce lo siamo meritati.

Caro Tavecchio, non c’è bisogno che ti si chieda un passo indietro, ma quando guarderai negli occhi un bambino sappi che hai negato alla sua generazione il vivere il sogno Mondiale e questo fa più male di un’eliminazione, questa è la grande (s)Ventura.

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