Sangue italiano, garra sudamericana. Sudore, corsa e tecnica malcelata. Matias Vecino ha tutta questa stoffa. E la indossa con fierezza, ma senza cercare i riflettori. Nasce a Canelones, in Uruguay, il 24 agosto 1991. Città modesta e capitale di uno dei dipartimenti più popolosi del Paese. 40 chilometri da Montevideo e dal suo Central Español, il club che lo lancerà nel suo mondo, a un passo da casa. Altro che vicinanza: il ragazzo si farà, riabbracciando le sue origini in quell’Italia che gli darà tanto, ma solo dopo le smorfie delle difficoltà.
Il 2010 fu un anno particolare per l’Uruguay. L’approdo in semifinale al Mondiale in Sudafrica ha restituito all’intera nazione credibilità e fiducia in sé stessa, riprendendosi così un posto tra le outsider del mondo. Ad agosto di quello stesso anno, Mate fa il suo esordio con la maglia del Central Español, con l’under 19. Poco più di mezz’ora per lui, senza troppi sussulti, e sconfitta per 1-0 al debutto in campionato. Sarà solo la prima di tante presenze allo stadio Parque Palermo, condite dalla promozione in prima squadra. Per il primo gol con la sua maglia dovrà aspettare un anno: aprile 2011 e gioia anche per Vecino nel 5-1 rifilato al Rampla Juniors.
Il passaggio al Club Nacional di Montevideo non porta sin da subito i frutti sperati. C’è tutt’altro prestigio, un impatto diverso con stadio e tifosi, e la prima Apertura con i nuovi compagni non parte col piede giusto. Pochi stralci di partita, convocazioni alternate e minuti sempre troppo pochi. A inizio 2012 la Clausura gli sorride: tre gol in cinque partite, nuova linfa e l’esordio anche in Copa Libertadores. L’indentikit coincide con un giocatore all’apparenza incostante ma con dell’estro da non sottovalutare. Il profilo è quello di Matias Vecino, che si toglie le prime soddisfazioni e si trova di fronte alla scelta decisiva.
Dalla sua Uruguay vola in Italia, ma non per riabbracciare le sue origini. Firenze sarà tappa di attese e nervi saldi, con il destino gli ripagherà il tempo perso ad ambientarsi e si prenderà un ruolo da protagonista indiscusso. Otto mesi ad aspettare di essere tesserato, e nel settembre del 2013 arriva l’esordio. Di fronte c’è l’Inter, la prima grande avversaria della sua carriera che da ostile, poi, diventerà grande amica. L’avventura in viola non decolla e Vecino viene ceduto in prestito al Cagliari: in Sardegna troverà il suo primo gol in Serie A e anche un brutto infortunio, dal quale si rialzerà con più fame di prima.
Il problema di Mate è sempre stato la fiducia. Non la sua, sia chiaro, ma quella dei tecnici. Incostante per presenze e poco altisonante per prestazioni. E quindi, altro prestito, stavolta all’Empoli, dove le cose vanno leggermente in maniera diversa. In panchina c’è Maurizio Sarri, toscano vecchio stampo, che punta fortemente su di lui e lo rende il perno del centrocampo, tra gli inamovibili insieme a Valdifiori. La linea mediana diventa il suo terreno di caccia, con poche escursioni da trequartista e tanta sostanza nella costruzione del gioco. L’Empoli di Sarri si salverà offrendo gioco e giovani brillanti e Matias torna alla Fiorentina con la voglia di stupire.
Da Sarri a Sousa con lo stesso piglio. Mate torna in Viola ma trova il posto occupato. Il nuovo arrivato Mario Suarez sembrerebbe il nuovo leader del centrocampo trainato insieme a Borja Valero e Badel. Ma l’ex Atletico Madrid finirà presto indietro nelle gerarchie, favorendo ascesa ed esplosione dell’uruguayano. I tre formeranno cervello, gambe e grinta della squadra di Sousa ed in due anni arriveranno 61 presenze e 5 gol. A fine 2017 però in molti abbandonano Firenze, tentati dalle offerte rivali. Tra questi c’è Vecino, che riceve una telefonata dal destino e travestito da grande amica.
Luciano Spalletti vuole un centrocampo di testa, che sia anche tecnico e instancabile. Caratteristiche che combaciano perfettamente con Matias, che a Milano ritrova Borja, suo alleato nelle battaglie viola. I tifosi nascondono l’entusiasmo, salvo poi ricredersi per un acquisto da dieci e lode. Già, dieci come i gol in Serie A, mentre per le dimostrazioni di forza in mezzo al campo abbiamo finito gli aggettivi. Primo sigillo già alla seconda giornata, per mettere la parola fine sul match contro la Roma: a lui spetta il merito di prendere per mano la squadra nei momenti più difficili e di risolvere molte situazioni incrinate.
Ripartenza palla al piede, dalla propria trequarti. Dà spesso l’impressione di perdersi per strada, tra contrasti e cambi di direzione. Immagine che ricorda la sua carriera, mai davvero stelle e qualche volta poco brillante. Ma il pallone non lo perde, così come la fiducia in sé, e tocca con mano le emozioni dei suoi tifosi scandendo con ogni passo le cavalcate fino all’area avversaria. Un viaggio metafora di una vita intera, alla ricerca della consacrazione definitiva. O magari, di una semplice stabilità d’animo. Entrambe le cose le ha abbracciate all’Inter, dove da protagonista sta conquistando San Siro.
This post was last modified on 16 Novembre 2017 - 15:46