Suarez oggi è un nome piuttosto diffuso nel mondo del calcio, quasi “scontato” e non solo per il bomber del Barcellona. Tuttavia, esisteva un tempo in cui quel cognome significava perfezione, eleganza e essenzialità. Un tempo in cui quel cognome veniva gridato dagli spalti del Meazza, dove decine di migliaia di spettatori estasiati, ammiravano le prodezze di un campione unico: Luisito Suarez da La Coruña.
Suarez, per chi conosce la storia della Grande Inter, è un nome scolpito in maniera indelebile nel cuore e nell’anima. Non è semplicemente stato il regista di quella squadra epica, ma il motore, l’architetto, l’artista che ha firmato ognuno di quei successi. E non si sta esagerando anzi. Stiamo parlando di quello che, soprattutto per l’epoca in cui è esploso, è stato un giocatore unico, moderno e geniale. Capace di esaltare ogni compagno con giocate al limite della fantascienza, con lanci impossibili per chiunque altro, soprattutto considerati i palloni degli anni ’60. Fine, elegante ed essenziale, Luisito è stato il pioniere dei registi moderni.
Fin dai suoi primi passi nel calcio, nella squadra della sua città, La Coruña, tutti avevano intuito che avrebbe fatto grandi cose. Come lo aveva soprannominato l’eterno Di Stefano, “l’architetto”, Luis eccelleva nel creare dal nulla giocate inaspettate e decisive, capaci di portare sul tetto d’Europa il Barcellona prima e l’Inter e la Spagna poi. Unico calciatore spagnolo a vincere il pallone d’oro e primo nella storia a venire ribattezzato “bambino d’oro”, pibe de oro. Quasi trent’anni prima di Maradona.
Herrera, che stravedeva per lui si dai tempi in Catalogna, lo volle a tutti i costi e “costrinse” Angelo Moratti a uno sforzo economico senza precedenti per quegli anni: quasi 300 milioni di lire. Una somma talmente esorbitante che il club blaugrana poté permettersi di innalzare di un intero anello il Camp Nou. Altri tempi, altri presidenti, altro calcio. E altri campioni. Il mago lo dipingeva come un ibrido curioso: “Suarez ha la velocità di Bicicli, il palleggio di Corso, la forza di Lindskog, il dribbling di Sivori e il tiro di Altafini“. Ma già solo dopo qualche partita anche Moratti senior si convinse invece che il paragone era sbagliato: perché Luisito era semplicemente Luisito. E di giocatori così ne nasce uno ogni secolo. La chiave per la gloria eterna, il tassello che mancava per creare una squadra leggendaria.
Tanti auguri, campione e altri cento di questi giorni. L’Inter, la Spagna e il calcio mondiale ti ringraziano.
Fonte immagine in evidenza: Screen Intervista
This post was last modified on 2 Maggio 2018 - 20:00