Editoriale – A riveder se stessi

C’è proprio poco da fare. L’Inter è sempre così: allergica alle pressioni, alle luci della ribalta che vorrebbero introdurla nel proscenio di gran carriera, ma che finiscono con l’accecarla, col farle perdere di vista il contatto con le proprie ambizioni e potenzialità.

Un’estate che in tanti (non noi, questo merito vogliamo prendercelo), hanno trascorso con l’affibbiarle la scomoda etichetta di anti-Juventus, la squadra che avrebbe avuto l’onere e l’onore di tenere in piedi un campionato già scritto. Invece, dopo 180 minuti, restano impresse le parole spazientite di Luciano Spalletti, che rimarca per l’ennesima volta l’incapacità della sua squadra di reagire nelle difficoltà. Si affanna a sottolineare come ci siano stati 20 punti di distacco anche col Napoli, non solo con la Juventus. Osservazioni non errate, ma è difficile comprendere come un gruppo di giocatori di comprovata esperienza soffra per un titolone di giornale, patisca la possibilità di poter essere forte e competitivo.

Perché è vero che le cose dette devono avere delle fondamenta salde e non seguire il vento di campagne acquisti sostanziose e tentate, ma la pressione deve essere padroneggiata e plasmata in consapevole ambizione. Invece è sempre lì che schiaccia gli uomini in nerazzurro, assume le sembianze di traguardi obbligati, per i quali ci si preoccupa troppo quando i primi ostacoli si palesano nel percorso.

L’Inter è l’anti-Juventus? No. Perché nell’Inter non gioca il giocatore più forte del mondo. E nemmeno uno dei primi 30. Perché sette acquisti sono positivi, ma modificano sostanzialmente una squadra abituata ad avere una sua struttura fissa, uno spartito poco propenso alla variabilità. E c’è bisogno di tanto lavoro per trovare un’armonia che possa permettere a 20 giocatori di integrarsi tra loro nel tempo e nello spazio. Perché al netto degli stessi acquisti, si palesano delle lacune rintracciabili, come quelle di un centrocampo in cui qualità di manovra e filtro difensivo non trovano un giusto compromesso, anzi.

Ma l’Inter non deve essere nemmeno la squadra che si fa rimontare in casa due goal con 25 minuti abbondanti di passività, accettazione delle voglie altrui ed eccessiva rilassatezza. Un mix che denota la presunzione di chi vorrebbe già sentirsi forte e spavaldo, ma a cui basta poco per riscoprire la propria consistente fragilità. Un’uscita a vuoto, un goal regalato, qualche passaggio di fila non riuscito. I primi fischi di un pubblico inflessibile ed esigente, che però rischia anch’esso di dimenticare spesso da dove si parte e cosa bisogna raggiungere. 

Un posto in Champions, consolidare uno status che si è guadagnato a fatica, ma per il quale si è lottato ed esultato molto. Alzare l’asticella a un livello tale che non si trasformi in chimera. Ma, al tempo stesso, avere un sogno, un desiderio di costante miglioramento e innalzamento. I gradini si salgono uno alla volta, mai saltando, perché si sa che poi l’atterraggio rischia di essere sempre più complicato.

L’Inter capisca quali siano i suoi obiettivi e le sue reali possibilità, senza lasciarsi trasportare da entusiasmi e depressioni facilmente oscillanti. Così facendo, sarà più facile disporre della propria forza e delle proprie debolezze.

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