Ieri sera Sneijder ha detto addio alla sua Nazionale. Lo ha fatto sedendosi su un divano messo al centro del campo assieme alla sua famiglia. Davanti a loro, una televisione che ha trasmesso le immagini e i video salienti della carriera dell’eterno numero 10.
La maggior parte di quel lungo filmato, ne siamo certi, avrà ripreso momenti, vittorie e gioie di quel fantastico anno, di quel 2010 che lo ha proiettato quasi nell’Empireo. Il Triplete ottenuto con l’Inter da assoluto protagonista, il Mondiale soltanto sfiorato con la sua Olanda di cui fu addirittura capocannoniere, quel Pallone d’Oro sfuggitogli soltanto perché, proprio quell’anno, i parametri di votazione furono cambiati. Parametri che, reinseriti nel 2017, lo avrebbero elevato a migliore di tutti. Per gli esperti non c’era stato dubbio: quel 2010 era stato il suo anno, non di un Messi incapace di segnare un solo goal nel Mondiale. Invece Wes quell’anno fu capace di ogni singola cosa: di esordire con l’Inter in un derby stravinto e giocando alla grande nonostante un solo misero allenamento con il resto della squadra. Ok, era ancora il 2009, ma concedeteci questa licenza, perché è stato il perfetto preambolo di quanto venuto dopo.
Il goal all’ultimo respiro contro l’Udinese che ne lanciò definitivamente la stagione, la rimonta di Kiev propiziata dal suo fantastico assist a Milito e dal suo inusuale goal da rapinatore d’area. Le sue giocate, la sua leadership, a volte molto plateale, ma sempre giustificata da una profonda capacità di incidere sul destino della propria squadra. La sua predisposizione nel comprendere il gioco, l’intenzione di dominarlo e indirizzarlo con i suoi lanci lunghi o superbi filtranti rasoterra, le sue conclusioni violente o precise, la sua intesa con i compagni. Quante volte gli avrà detto grazie Milito? Ma anche quante volte lo avrà ringraziato Wes, per la sua puntualità nel sublimare il lavoro di entrambi. Come quella notte a Madrid, dove si regalarono reciprocamente due ottimi palloni: Milito lo sfruttò, Sneijder no. Poco importò, non era la finalizzazione il suo compito. La sua dominanza la si vedeva nella volontà di entrare in ogni azione, nell’abbassarsi a lanciare le frecce dell’arco di Mourinho, nel cucire i reparti ben sapendo di poter trovare il varco adatto.
SNEIJDER, L’ADDIO TRIBOLATO E LITIGIOSO
Sneijder è stato molto 2010, ma non solo. E’ stato tutto ciò che è stato trasmesso su quel televisore ieri sera, ma molto di più. E’ stato anche, purtroppo, uno di quei giocatori maltrattati da una società che, non avendo saputo cogliere l’opportunità giusta per vendere i suoi eroi a tempo debito, li ha poi maltrattati e scaricati come pesi morti. Se ne andò in Turchia nel gennaio del 2013, dopo mesi in cui non venne più schierato in campo per imposizione dirigenziale. Quasi nessuno se ne accorse, eravamo tutti già abituati all’idea. Eppure non ricordiamo qualcuno che venne al suo posto e non lo fece rimpiangere. Eppure, dopo quel 2010, qualche altra cartuccia da sparare ha dimostrato di averla, sia in nerazzurro che senza.
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