Argentina, Marocco, Francia. Poi Spagna ed Italia, a Milano. Angelo Moratti pose, scegliendo l’allenatore sudamericano, il primo mattone per costruire quella che fu la ‘Grande Inter‘. La filastrocca di ‘Sarti, Burgnich e Facchetti’ è nata grazie all’intuizione del presidente ma è cresciuta con ‘Il Mago’. Helenio Herrera: l’eroe dei tre mondi.
DALL’ARGENTINA AL MAROCCO: IL PUGILE DIVENUTO ALLENATORE
Il padre Paco si trasferì da Siviglia in Argentina, a Buenos Aires, quartiere Palermo. Il falegname fatica a trovare fortuna nella capitale argentina, e decide quindi di migrare nuovamente. Il piroscafo fa rotta sul Marocco. A Casablanca il piccolo Helenio impara a lottare: scopre dentro di sè un ‘veleno’: “I soldati che mi avevano preso in simpatia, mi insegnarono a boxare. Accadde qualcosa che costituì per me un’autentica rivelazione: la popolarità”.
Il successo sul ring in tenera età, lo riuscì a trasportare anche sul campo. Non era il manto erboso di San Siro o del Camp Nou: ma terra bruciata, strappata al deserto del Sahara; una terra che istruisce con il bastone e non con la carota. Herrera gioca per il Racing di Casablanca, viene notato dalla squadra parigina del Club Francais e, tra un allenamento e l’altro, trova un impiego come tornitore in fabbrica. Gioca, e corre, da tutte le parti: attaccante, mezz’ala e difensore centrale.
Il fisico e la mente al servizio della squadra: caratteristica madre di tutti i successi ottenuti poi nella carriera. A tutti gli effetti è un rivoluzionario: allenatore, osservatore e sindacalista. Scova talenti nei campi di prigionia in Nord Africa: ‘il moro dello Stade Francais’, Ben Barek, venne quasi letteralmente fatto evadere di prigione prima di diventare francese e stella dei Bleu. In Francia creò il sindacato allenatori e poi, come fece Ulisse, tornò in patria.
DALLA SPAGNA ALL’ITALIA: ‘TACA LA BALA’
Il viaggiatore ha necessità di tornare a casa. Atletico Madrid, Siviglia e Barcellona: Campionati spagnoli e coppe di Spagna a raffica. Poi arriva il 1962. Anno storico sia per H.H. che per l‘Inter: dopo anni di anonimato europeo ed italiano, il presidente Angelo Moratti decide di investire. Si presenta a Milano, vestito in maniera impeccabile ed inizia a fare la sola cosa che conosce: il Mago inizia a vincere. Tanti aneddoti e racconti hanno aumentato quell’alone di mistero che circondava Herrera: “Crea spazi vuoti. Nel calcio, come nella vita, nella pittura, nella musica, i vuoti e i silenzi sono importanti come i pieni”. Non si stufava mai di ripeterlo.
“Taca la bala!“ era l’altro comando: la squadra di Herrera fu la prima vera squadra moderna nella storia del calcio. Pressing in avanti, condizione fisica ottimale e tanta, tanta tecnica unita ad una fase difensiva impeccabile: “La mia squadra ha vinto senza nemmeno scendere dall’autobus” diceva in maniera sfrontata prima delle partite. Un allenatore moderno, avanti anni luce: fu il primo a sperimentare i ritiri, diede molta importanza alle relazioni extra-coniugali dei calciatori ed al loro stile di vita alimentare. Sapeva rendere importante ogni calciatore, lo responsabilizzava rendendolo indispensabile al gruppo, anche se non era particolarmente dotato tecnicamente.
Poi vinse tutto. Letteralmente tutto. Due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali di fila, 3 scudetti, tra i quali il decimo, quello della stella e Coppe Italia dal 1962 al 1967. Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez, Corso. Questa formazione, rigorosamente recitata tutta d’un fiato ha incarnato la forza della Grande Inter. “Pensa veloce, agisci veloce e gioca veloce”, era un altro motto di H.H.: un motto da pugile, un motti di chi, sin da bambino, ha vissuto con il veleno in corpo. Il ‘Mago’ ha salutato tutti nel 1997, all’età di 87 anni. Finiva per sempre la storia di un uomo geniale, che osò sempre e che riuscì a stravolgere gli schemi. Una finestra sul futuro.
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