Ad osservarlo sembra che tutto sia rimasto immutato. Ma alcune cose sono cambiate. Forse ci si accorge dei dettagli, di quello che prima c’era ed ora non c’è più. La moda, l’età o semplicemente svestire i panni del supereroe, appenderli al chiodo e, in questo caso, tagliarli via. Per sempre. Ma nell’immaginario comune interista e italiano, il ragazzo alto riccioluto e con quei baffi, quei baffi da zio, rimarrà sempre una persona soltanto: Giuseppe Bergomi, il numero 2, l’anello di congiunzione tra Giacinto Facchetti e Javier Zanetti. Un uomo che a 18 anni marcava Rumenigge con la stessa freddezza di come oggi analizza vittorie e sconfitte seduto, elegante ed impeccabile, assieme ad altre leggende del calcio italiano a Sky Sport.
“Siamo arrivati assieme io e lui, lo stesso giorno, a fare il provino all’Inter– ricorda Riccardo Ferri, altra icona interista- “A prima vista pensavo fosse l’autista del pullman, era con dei baffi lunghissimi, a 12 anni e mezzo. Eravamo in 500, e ne presero solo due: Beppe ed io. Al momento dell’annuncio io esultai come se avessi segnato un gol, lui rimase gelato, impassibile“. Una vita da interista e in Nazionale: tanti trofei, tanti record e tante presenze. Tanti sguardi e poche parole: la leggenda dello Zio è tutta nostra, amici nerazzurri.
LA MAGLIA COL BISCIONE, LA SUA SECONDA PELLE
Giuseppe Bergomi nasce in una fredda giornata invernale del dicembre 1963, il 22. Scartato un paio di volte dai cugini rossoneri a causa di problemi alle visite mediche, a 16 anni entra a far parte del vivaio interista. Fu l’inizio di una delle più grandi storie d’amore del calcio. Il suo avvento nel mondo dei grande fu molto precoce: il baffo cespuglioso, la serietà dentro e fuori dallo spogliatoio e le innate doti tecnico-tattiche convinsero l’allenatore Eugenio Bersellini a farlo esordire in Coppa Italia, a 16 anni e un mese, diventando il più giovane interista sceso in campo: fu il primo record che scrisse nella storia del club di Corso Vittorio Emanuele.
L’esordio in Serie A avvenne la stagione successiva: preferito a Pancheri e complice l’infortunio di Oriali, il giovane Bergomi inizia a sfoderare prestazioni fantastiche, che culmineranno con il primo gol da professionista, in Coppa Italia; proprio nel derby e proprio allo scadere della partita: fu un 2-2 che qualificò la formazione nerazzurra. Con la maglia dell’Inter cambiò ruoli, compagni di squadra e allenatori; vinse, da capitano, il suo unico scudetto, quello dei record con Matthaus in mediana ed il Trap alla guida. Vinse anche in Europa: fu lui ad alzare la Coppa Uefa a Parigi nella serata in cui brillò la stella di Ronaldo e dove la Lazio non potè fare a meno di inchinarsi al fuoriclasse brasiliano. Gigi Simoni fu abilissimo nel cucire addosso al capitano il ruolo di libero: per intelligenza tattica ed età era perfetto.
I PROBLEMI CON LIPPI E L’ADDIO
“Per me è stato diverso, non ho deciso io” raccontava con ironia ed una vena polemica il suo addio al calcio: “Sono stato sempre onesto con la società e con me stesso: dai 30 ai 36 anni ho sempre rinnovato con cadenza annuale. Ma a 36 anni, dopo una stagione da titolare ed i campionati del Mondo di Francia ’98, ero ancora nelle condizioni di disputare almeno una stagione“. Il Presidente Moratti non si oppose più di tanto alla ‘pulizia dei senatori‘ di Marcello Lippi. Fu così che il 23 maggio 1999, dopo aver rifiutato la proposta del Coventry di Mazzola, si ammainava una delle più grandi bandiere nerazzurre. Senza celebrazioni, senza troppi onori. Un eroe dimenticato dalla sua casa. Ma mai dai suoi tifosi. La numero 2 rimarrà sempre sulle tue spalle Zio. La sua carriera in maglia nerazzurra reciterà: 756 presenze di cui 519 in Serie A, 117 in Europa e 119 in Coppa Italia. Preceduto solo da Javier Zanetti per presenze in Serie A, in Europa e nei derby.
LA NAZIONALE E IL TETTO DEL MONDO
Convocato quasi a sorpresa da Bearzot alla rassegna iridata in Spagna, il giovane Giuseppe pensava di rimanere relegato in panchina, convinto che il suo tempo sarebbe arrivato più avanti. Fu così fino alla sfida contro il Brasile: un immenso Collovati stava marcando alla perfezione i giocolieri brasiliani, quando sentì una fitta dolorosa alla gamba che ne provocò l’uscita anzitempo. “Su ragazzo, scaldati” gli disse il Vecio. Le telecamere indugiarono su questo giovane riccioluto: “Una volta sceso in campo c’era un pizzico di emozione, ma contro quel Brasile non c’era concessa nessuna emotività. Avevano un centrocampo stellare con Socrates, Cerezo e Falcao. Ma andò bene.” La vittoria a Madrid contro i tedeschi fu la risposta a tutte le critiche della stampa e dei media del tempo: “Le critiche furono la nostra forza, quella che poi ci ha spinti fino a Madrid. Ci siamo compattati dando la dimostrazione del gruppo che eravamo.” ricorda Beppe.
Con la Nazionale giocò altri 3 Mondiali, saltò solo quello di USA 1994 a causa di problemi tattici con Sacchi, il quale preferiva difensori più esperti con la difesa di sua invenzione, quella a zona. Tra i tanti CT che si susseguirono sulla panchina Azzurra, ebbe un rapporto speciale con Cesare Maldini: “Dopo la finale contro la Lazio mi chiamò e mi disse: ‘Per la fine dell’anno ti porto ai Mondiali’; io ero dubbioso, avevo paura di farmi male. Ma lui mantenne la parola e alla fine giocai anche“. Assieme a Buffon, Riva, Maldini, Cannavaro, Zoff e Albertosi è l’unico italiano ad aver disputato almeno 4 Mondiali. Un uomo forte, onesto e di poche parole. Un capitano perfetto: guida ed esempio. Chiuderà la sua carriera in Nazionale con la sconfitta ai calci di rigore contro la Francia, dopo 81 presenze.