Di giocatori come Thiago Motta ce ne sono stati pochi. Un giocatore che alternava fisico e tecnica, lento, compassato ma mai banale. Fastidioso per gli avversari, provocante e furbo. Una gioia per gli occhi degli interisti durante il periodo ‘Tripletista‘. Un calciatore cresciuto a Barcellona e diventato importante prima a Genova, sponda rossoblu, poi a Milano, in nerazzurro. “Ho vissuto alla grande– ci dichiara l’ex numero 8 interista- ho vinto scudetti e Champions League. sono stato a Milano, Parigi e Barcellona. Ho pianto all’ultima partita ma il giorno dopo ero già a Coverciano, pronto ad iniziare la mia carriera da allenatore“.
Chi cresce a Barcellona e, nello specifico, alla Masia, può proporre solamente un modo di giocare al pallone: “Sono un allenatore offensivo. Squadra corta, pressing alto e che sappia muoversi d’insieme, con e senza palla. Non amo i moduli, il calcio non è biliardino. Puoi essere offensivo con il 5-3-2 e difensivo con il 4-3-3: dipende tutto dai giocatori che hai e dalla loro mentalità. Ho visto Eto’o fare il terzino, dando un esempio di quello che fu il Triplete con l’Inter. Mi piace il calcio d’attacco, ciò non significa che non vorrei in squadra gente come Samuel o Chiellini: difensori nati“.
La fonte d’ispirazione quando si intraprende una nuova avventura, quando si prova a ‘stare dall’altra parte’, è sicuramente molto forte. Ci si basa sull’idea di ciò che si vorrebbe fare, per poi metterla in pratica. Gli allenatori con cui ha lavorato Thiago Motta sono stati tanti, e di un certo spessore. Da Gasperini ad Ancelotti, passando per Guardiola, Mourinho e Blanc, il mediano italo-brasiliano ha sempre cercato, come tutti, di prendere spunto dagli insegnamenti, sfumando a proprio piacere alcune caratteristiche per adattarle al proprio pensiero. “Guardiola è il re del gioco. Contro lo United ha segnato dopo aver fatto 44 passaggi di fila. Ammiro molto anche Zidane, ma il top è stato Ancelotti: conoscenza impressionante del calcio, gestione dello spogliatoio top grazie a dei rapporti umani basati sulla semplicità. Lui si conquista il rispetto con la sua normalità“.
Parlando di allenatori, non si può fare a meno di citare Josè Mourinho: amato, odiato, sempre al centro di attenzioni che varcano la soglia del rettangolo verde. “Un vincente– sentenzia Thiago Motta- non gli interessa lo spettacolo. Mourinho ha due facce: felice quando vince e incazzato se perde. Se hai giocato bene ma hai perso, lui non ci trova niente di positivo. Se vinci giocando malissimo lui è felice. La partita di Mourinho si gioca nelle due aree: in difesa devi morire piuttosto di non far segnare l’avversario. In attacco devi affondare. Sempre. Il centrocampo è un ostacolo, un fastidioso percorso tra due campi di battaglia“. Sul rapporto con la stampa, i metodi di allenamento e di protezione dell’allenatore portoghese ne parla così: “Mou non cerca il bello, lui cerca un nemico. Con l’Inter avevamo 11 punti di vantaggio, perdemmo una partita e pareggiammo quella successiva: il lunedì in conferenza parlò 15 minuti attaccando tutti, da Galliani alla Juve. Doveva ricaricare l’ambiente: ci riuscì“.
Gli spogliatoi sono tutti diversi: se Ancelotti ti conquista per la semplicità delle sue parole, quella di Mourinho è tumultuosa. Campioni con personalità straripante inseriti in un contesto ed a stretto contatto gli uni con gi altri. “Per molti sarebbe stato un compito difficile. Per lui fu facilissimo. Mou ama la gente di personalità e quell’Inter ne aveva in quantità industriale. Lucio, Samuel e Cordoba per citarne alcuni. C’era Eto’o, un vero leader, poi a cascata Maicon, Materazzi e Sneijder, senza dimenticare Zanetti e tutti gli altri“. La fortuna e la bravura di Thiago Motta è stata quella di aver giocato in squadre fortissime: dalla Nazionale Italiana vice campione d’Europa, passando per Barcellona, Inter e, in ultimo il PSG: “Nel Barcellona è stata un goduria: in mezzo al campo c’erano Xavi, Iniesta e Deco. Però io stravedevo per il PSG del 2016 con Blanc in panchina: con Ibra, Thiago Silva, Lavezzi e Cavani. Un gruppo di pazzi, una sporca dozzina: potevamo vincere la Champions, ma fummo eliminati dal City“.
Il regno bianconero in Serie A dura ormai da 7 anni, con grande probabilità arriverà anche l’ottavo scudetto in fila: “Sono un gradino sopra tutti. Ma non deve diventare una scusa per non provarci: la Juve si fermerà, non potrà vincere per sempre. Nessuno lo fa. E credo che sarà proprio l’Inter ad interrompere questa monarchia“. In Champions League il ventaglio di opzioni si allarga: “Non ci saranno sorprese: anche se lo scorso anno la Roma ha dimostrato che tutto può accadere. L’Inter potrebbe risultare la variabile impazzita, dai quarti in poi non si deve precludere nulla“. Ma rimangono le solite cinque squadre che, per fatturato e rosa, sono di gran lunga superiori alle altre: “Il Barcellona, Solari ed il suo Real, il City per il gioco espresso, il PSG per il potenziale offensivo e poi CR7 e la Juventus. Quest’ultima era già stata in finale: gli serviva il giocatore che le finali le faceva vincere e l’hanno comprato“.