“Il talento fa vincere le partite, l’intelligenza ed il lavoro di squadra fanno vincere il campionato“. Deve avere pensato la stessa cosa il Presidentissimo di allora Carlo Masseroni. 40 anni prima della citazione di Micheal Jordan, il trono calcistico italiano era vuoto; la disgrazia di Superga aveva lasciato lo scettro in mano all’altra squadra di Torino, la Juventus ed alle due milanesi: Milan ed Inter, con la prima decisamente in vantaggio sulla seconda. Grazie alle frontiere Europee aperte, alla disponibilità economica maggiore, Milan e Juventus erano le regine del campionato. Andare allo stadio a vedere l’Inter significava spettacolo, ma poco altro: 107 gol segnati nell’annata 1950/1951 e 86 gol in quella successiva e uno Scudetto che tarda ad arrivare.
Ma il tricolore manca da ben 13 anni: un’eternità. Proprio nel settembre del 1952, Masseroni decide di svoltare: viene ingaggiato Alfredo Foni. L’allenatore, reduce da un’ottima annata con la Sampdoria, fu bandiera juventina durante gli anni ’30, vinse, nel 1938, Olimpiade e Mondiale con l’armata di Pozzo, capitanata da Giuseppe Meazza.
UN CALCIO MAI VISTO PRIMA: LA NUOVA ERA
Il calcio italiano è conosciuto in tutto il mondo per una caratteristica fondamentale: la tattica. Ore e ore di video, filmati e situazioni di gioco specifiche che occupano gran parte degli allenamenti. Squadre sempre quadrate, che subiscono pochi tiri e approfittano degli errori avversari, aggiudicandosi il massimo risultato con il minimo sforzo. Alfredo Foni fu il primo allenatore, seguito da Herrera e da Rocco, ad applicare sistematicamente questo nuovo metodo. Il celebre giornalista Gianni Brera dirà di Foni: “Come d’incanto l’Inter si è fatta sparagnina. La squadra rimane bloccata sull’uomo in più in difesa. Vince prodigando il minimo sforzo“. La chiave di gioco era semplice: l’Inter, sfruttando al massimo le qualità offensive del tridente Skoglund, Lorenzi detto ‘Veleno‘ e Nyers, colpiva in contropiede. Il gioco ristagnava in mezzo al campo dove il resto dei giocatori nerazzurri rallentava la manovra avversaria. La nuova era calcistica era iniziata: Foni libera da qualsiasi compito di marcatura il lento e non più giovane Blason, creando, di fatto, il ruolo del libero, che sparirà con la rivoluzione ‘Sacchiana‘, ma dominerà la scena per decenni.
Il campionato 1952/1953 è dominato: il sesto scudetto arriva a tre giornate dal termine, contro il Palermo. 46 gol fatti e solamente 24 subiti: l’Inter spettacolare ma perdente è ormai un lontano ricordo; praticità e concretezza sono le due nuove parole d’ordine. L’anno successivo ricalcherà la stagione 52/53: Masseroni inviterà Foni ad abbandonare almeno nominalmente il ‘Catenaccio‘, ma il successo finale arriverà ugualmente, per la gioia di Brera e per lo sconforto del resto della stampa italiana, che considerava l’Inter come una grande con l’atteggiamento ostruzionistico tipico delle piccole e quindi non degna del suo nome.
DOPO L’INTER: IL DISASTRO DI BELFAST
L’avventura nerazzurra terminò la stagione successiva e con essa, anche il ciclo di Masseroni: alla presidenza interista arrivò un certo Angelo Moratti. Aveva idee, denaro e fame di vittorie: di lui, sicuramente ne sentiremo parlare. Alfredo Foni divenne commissario tecnico della nazionale, pronto a preparare i Mondiali del 1958 in Svezia, vinti poi dal Brasile, capitanato del giovane Pelè. L’Italia non riuscì a qualificarsi al Mondiali: perse contro la modesta Irlanda del Nord, questa sconfitta venne ricordata come ‘Il disastro di Belfast‘ paragonabile alla recente delusione patita dagli Azzurri contro la Svezia nel novembre dello scorso anno. La carriera di Foni subì un arresto clamoroso: allenò Bologna, Udinese e Roma, con cui vinse, nel 1961, la Coppa delle Fiere, per poi ritornare per un breve periodo all’Inter e chiudere la carriera in Svizzera, tra Bellinzona e Lugano.
Un allenatore pratico, umile e vincente. Disastro di Belfast a parte, Alfredo Foni ha tutto il diritto di venire inserito nel novero di allenatori che hanno dato la svolta al gioco del pallone in Italia. Con il suo Catenaccio si è vinto in Europa e nel Mondo: Nereo Rocco e Herrera, suoi primi discepoli, poi Trapattoni e Mourinho hanno seguito i suoi ideali, con sfaccettature e sfumature diverse ovviamente. Due scudetti in tre anni: “Cosa che a quel tempo sembrava impossibile, la doppia vittoria dell’Inter” ricordava l’avvocato Peppino Prisco. E se lo ricorda lui, non ci resta che fare altrettanto. Grazie Alfredo.