Era l’anno Domini 476. Romulo Augustolo, l’ultimo imperatore romano d’Occidente, viene detronizzato dal barbaro Odoacre. Fu una caduta senza rumore, quasi nessun contemporaneo se ne accorse. Una fiamma che lentamente si spegne, lasciando posto al caos, alla paura, alla devastazione ed alla morte. Quasi 2000 anni dopo, in Sud America, a Rio de Janeiro nasce l’ideale successore di Augustolo. Il 17 febbraio 1982 viene alla luce Adriano Leite Ribeiro, per tutti, ma soprattutto per gli Interisti: l’Imperatore.
“Il segreto per rimanere giovani sta nell’avere una sregolata passione per il piacere” diceva Oscar Wilde. Passione e piacere, due sostantivi che calzano alla perfezione, che si installano come il più perfetto dei software nella psiche e nel corpo di Adriano. Un Pinocchio del ventunesimo secolo: innocente, solo e malconsigliato da un Gatto e da una Volpe qualsiasi pronte a sgraffignarli più denaro possibile. Per poi sparire. Un fiamma che si è spenta lentamente, un giocatore che “sarebbe potuto diventare meglio di Ibrahimovic e di Ronaldo” raccontava con amarezza Ivan Cordoba, suo compagno di mille battaglie in campo.
Tutti i supereroi hanno una loro cryptonite, un avversario invincibile. Achille aveva il suo tendine, Adriano la depressione. “Per un po’ fa la spola con il Brasile– spiega Javier Zanetti– litiga con la sua ragazza, ricade nella saudade. Il talento non basta senza forza mentale. Abbiamo fallito. Non siamo riusciti a strapparlo dalla depressione“. Anche questa, come quella dei secoli prima, fu una caduta senza rumore. Una goccia di pioggia nel bel mezzo del mare.
IL BERNABEU E QUELLA PUNIZIONE
La prima impressione è quella che conta. Il popolo interista è, per sua natura più intrinseca un sognatore. Una calda sera di agosto, durante una prestigiosissima amichevole al Santiago Bernabeu, un giovanotto di belle speranza sostituisce Vieri. Una cannonata, i flash dei fotografi e lo sguardo perso ed allo stesso tempo incuriosito di Casillas, forse il primo ad accorgersi di che cosa effettivamente è atterrato sul pianeta Terra. La vita di Adriano Leite Ribeiro cambia: ora non è più il giovanotto arrivato in punta di piedi dal Flamengo. Ora è un centravanti in costruzione, una macchina da guerra pronta a diventare efficace. Senza nessun problema. O quasi.
Dopo la prima metà di stagione trascorsa a Milano, viene prestato a quel che resta della Fiorentina, mentre la Beneamata, allenata da Hector Cuper viene superata al fotofinish dalla Juve di Del Piero e Trezeguet, rendendo indimenticabile il 5 maggio, non solo per averlo studiato a scuola.
La stagione successiva, assieme ad un altro baby-fenomeno nerazzurro, un certo Adrian Mutu, viene ceduto in comproprietà al Parma. Con i ducali inizia a lavorare sul fisico, sulla tecnica e sulla tattica. 190 centimetri di pura classe cristallina, uniti a qualità balistiche, aeree e di assistenze mai viste prima d’ora. Il meteorite impattato da Villa Cruzeiro all’Europa sta per scatenare tutti i suoi effetti collaterali. In fretta e furia, viene richiamato a Milano durante l’ennesima stagione fallimentare. Zaccheroni è al timone della squadra, come tutti ne intuisce i pregi tecnici ed atletici, ma forse è il primo, grazie alla sua sagace lungimiranza, ad accorgersi della falla nel supereroe. Le energie nervose che accumula sono tante e troppe. C’è il rischio di implosione: è il ciclo degli astri, quando una stella non brilla più è destinata a implodere.
Lui cerca il gol ed il gol cerca lui: porta a spasso intere difese, sia in Champions League che in campionato. La traversa colpita contro il Palermo, sono sicuro, sta ancora tremando. Vince la Copa America del 2004 da solo: il numero 7 viene all’unanimità eletto miglior giocatore e capocannoniere. Adesso è diventato Imperatore.
IL CLIMAX: LA MORTE DEL PADRE
Ogni storia, ogni racconto presenta un punto di rottura. Un punto di non ritorno dove il protagonista reagisce o crolla inequivocabilmente. Adriano corre in Brasile, il dolore che prova è straziante. Suo padre, l’ago della sua bilancia non c’è più. Colui che lo ha istruito, che lo ha consigliato e che gli è stato vicino ad un tratto è spirato. L’unica medicina che conosce per alleviare questo dolore è il gol: tanti e belli. In tutte le competizioni, con manifesti di pura onnipotenza: dal 1-5 al Valencia, passando per la tripletta contro il Porto o il coast-to-coast contro l’Udinese. “A parte Messi, il più forte con cui ho giocato è stato Adriano. Era indescrivibile. Si è perso perchè era troppo buono“, dice Nicolas Burdisso, un altro che ha provato in tutti i modi ad aiutarlo.
Già, troppo buono. L’Imperatore continua a fare sul serio anche in Confederation Cup: la coppa che presenta il Mondiale tedesco, è un’anteprima di quello che il numero 7 avrebbe potuto fare. Il Re Mida dell’attacco brasiliano: di nuovo capocannoniere e di nuovo miglior giocatore. Ora Adriano è nella ristretta elitè dei migliori giocatori al mondo. La stagione successiva, quella 2005/2006 è l’inizio della fine, la decadenza dell’Imperatore e del suo Impero. Sempre più costruito su bugie, false speranze ed amici più interessati al suo mondo che a lui. Alterna prestazioni sontuose a cali di concentrazione spaventosi. In Germania è lento, macchinoso. Come tutto il Brasile che, giustamente viene eliminato dalla Francia di Zidane e Henry.
DOPO IL MONDIALE: IL ‘FU’ ADRIANO IMPERATORE
“All’Inter ero solo, triste e depresso. Ero felice solo quando bevevo: vino, vodka o birra non faceva differenza. Mi svegliavo e non sapevo dove mi trovavo. O non dormivo per paura di arrivare tardi ad Appiano Gentile. Ma non potevo allenarmi: andavo in infermeria e si diceva ai giornalisti che avevo problemi muscolari“. Questa confessione di Adriano rispecchia in toto quello che era diventato. Un eroe triste, sopraffatto dal mondo moderno. Un eroe che si riscopre umano e che viene abbandonato dai parassiti che lo hanno prosciugato. Viene prestato al San Paolo: in Brasile trova il sorriso, la voglia di fare gol e quella fiducia che sembrava persa nella nebbia milanese, tra uno spritz ed una birra
Ad aspettarlo c’è Jose Mourinho: chi meglio di lui è in grado di rianimarlo definitivamente? Ma è un fuoco di paglia. Vince il suo unico scudetto da comprimario. C’è un nuovo idolo in città, Zlatan Ibrahimovic. La difficile vita interiore di Adriano sta per essere spazzata via. Ora il calcio non gli interessa più, è triste e sempre più solo. L’affetto del pubblico, dei compagni e dell’allenatore c’è, ma lui non vuole saperne. Ritorna al Flamengo: si riscopre decisivo e goleador, altro fuoco di paglia. La Roma prova a metterlo sotto contratto ma risolve il contratto a marzo.
Il resto è storia recente: tra uno scandalo e qualche foto compromettente, trova spazio al Corinthians e poi nuovamente al Flamengo, spinto dall’amico Ronaldinho. Non ha più voglia. L’imperatore è stato detronizzato. Il giovanotto che spediva la palla all’incrocio dei pali quella notte del 14 agosto è solo un ricordo sbiadito. Come una stella che sta per spegnersi. “Che confusione | sarà perchè tifiamo | un giocatore che tira bombe a mano | siam tutti in piedi | per questo brasiliano | batti le mani | in campo c’è Adriano”
Questo te lo meriti, sempre. Grazie campione.
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