Editoriale – Il Toro e gli asinelli

L’Inter delle ultime settimane era stata ingenua, ma anche sfortunata. Il Napoli, invece, era stato baciato dalla provvidenza. Sarà la frase più trita del mondo, ma forse è vero che, nel calcio, gli episodi si compensano. All’ultimo assalto, i nerazzurri hanno trovato una rete importantissima, riaprendo spiragli per la lotta al secondo posto e legittimando l’attuale terza posizione. Un segnale importante, dato il risveglio delle romane. Essenziale, se si pensa alla batosta psicologica firmata pochi giorni fa da Sergio Pellissier. Un pesante incidente di percorso che rischiava di aprire delle crepe, soprattutto in virtù della beffarda eliminazione dalla Champions League, non ancora smaltita del tutto. Inter-Napoli può trasformarsi invece nel marchio qualità impresso su questa squadra. Che si conferma spavalda, solida e affidabile negli scontri diretti, capace di proporre gioco e di stringere i denti senza sfilacciarsi.

Diventa anche l’atteso marchio dell’avventura del Toro Lautaro Martinez, che è entrato in campo e ha colpito al primo pallone toccato. Quello che non gli era riuscito nei precedenti incontri, dove l’ansia della giocata risolutiva lo aveva indotto a errori grossolani ed eccessiva frenesia. A volte, basta saper attendere, aspettare il passaggio giusto, sfruttare il momento. E l’Inter è una squadra che sa creare tanti momenti. La strada del centrocampo con raffinati palleggiatori sembra funzionare e ha costretto i partenopei a un (primo) tempo di sofferenze. Funziona anche la versione più moderna dell’Icardi centravanti, ispiratore di gioco e soluzioni negli ultimi metri di campo, anche senza andare a rete. Funzionano, come al solito, Handanovic e la cortina dinanzi a lui, centrali e terzini che stavolta non hanno concesso metri letali, ma si sono spinti verso salvataggi mirabolanti. Sono funzionati anche i cambi di Spalletti: Keita, Vecino e Lautaro sono tutti entrati nell’azione del goal. Conferme e novità, dunque.

Ma se il Toro ha voluto prendersi la copertina, purtroppo è costretto a condividerla con chi, in campo, non ci è nemmeno entrato. Cori, fischi e ululati sono stati parte della colonna sonora di una serata di sport e festa, con il ricordo delle cene e dei pranzi di Natale ancora ben impresso. Lo spirito di solidarietà non ha albergato in quei tifosi, una minoranza certo, ma pur sempre presente, che ha pensato più a denigrare l’avversario che a sostenere la propria squadra. L’associazione giocatore di colore-scimmia trova ancora proseliti. Echi di chi, per assurde ragioni, dimentica i Keita e gli Asamoah della propria squadra. Perché forse li accetta a fatica, ma soprattutto perché non è portato a riflettere, agisce secondo l’animalesco istinto del nemico diverso da prendere di mira, additare, accusare. Ma di cosa? Di un colore diverso? Di una provenienza geografica che non coincide con la propria? A quanto pare, sembra che una base di razzismo sia ancora un ingrediente immancabile nelle tifoserie che, da calde e passionali, rischiano di trasformarsi in becere. Un aspetto che stona ovunque, a maggior ragione se si sostiene una società che, storicamente, ha fatto dell’apertura allo straniero uno dei suoi pilastri. L’INTERNAZIONALE. Se si plaude la società per il pugno duro mostrato con i suoi tesserati, vedasi lo striscione sul caso Nainggolan prima del match, bisogna essere consapevoli che la stessa fermezza può e dovrebbe essere adoperata anche contro chi si macchia di inciviltà e mancanza di rispetto.

Ma bisogna essere attenti. E non confondere troppo i vari piani. Se il razzismo deve essere estirpato quanto più possibile dai piani della società, non deve nemmeno essere adoperato come alibi per una sconfitta. Koulibaly i fischi li aveva sentiti, ma ha saputo ignorarli per 80 minuti abbondanti. Non sappiamo quanto quell’applauso ironico a Mazzoleni fosse frutto del giusto cartellino rimediato poco prima, o della situazione creatasi con quella parte di pubblico, ma si è trattato di un gesto inequivocabile. La decisione di Mazzoleni è sembrata, lì per lì, inevitabile. L’arbitro avrebbe dovuto tener conto del contesto? Forse sì, forse no, ma un Koulibaly sin lì impeccabile non aveva palesato segni di debolezza, di mancanza di controllo. L’Inter ha vinto contro il Napoli perché ci ha creduto un filo di più, perché per una volta ha saputo sfruttare meglio gli attimi cruciali, i turning points, mantenendo i nervi saldi. La crudeltà del fuori-campo non deve incidere sulla bellezza del dentro, che offre sempre le sue sacrosante verità. Di un’Inter migliore, di un Toro che ha visto azzurro, ma si è scatenato lo stesso. La verità è data anche dal fatto che tante persone che stasera erano allo stadio non dovrebbero più rientrarci. Affinché imparino la lezione.

Un’altra storia certo, ma anche un’altra verità.

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