Protagonista assoluto del Triplete, Jose Mourinho ha ripercorso la storia di quel successo ai microfoni di DAZN. Lo Special One, ospite del programma ‘Linea Diletta’, ha raccontato molte storie legate a quel periodo all’Inter.
Considerato uno dei possibili sostituti di Spalletti sulla panchina nerazzurra, il tecnico di Setubal è partito parlando della sue ultime esperienze: “Sono tornato a Londra dopo Madrid: ora è la base di partenza, la prossima tappa non sarà la Premier League. I trofei sono la mia garanzia, anche contro quelli che fanno il possibile per dimenticarlo. L’ultimo trofeo è stata l’Europa League, è stata solo un anno fa. L’ultima finale che ho giocato è stata otto mesi fa, però è passato: mi sto preparando per il futuro. Non è tempo perso: quando si lavora 18 anni senza fermarsi, non c’è tempo per fermarsi, per pensare agli errori. Io penso siano stati utili questi mesi senza lavorare“.
L’esperienza milanese ha completamente segnato il tecnico, che ha trovato più che una città: “A Milano ho trovato una famiglia incredibile ed ero felice ogni giorno ad Appiano. La connessione con i tifosi è stato il risultato dei risultati, ed è stata creata questa empatia che rimane. A Londra vengo fermato per strada da interisti che mi abbracciano e mi baciano. Credo che per me l’Italia è stato un habitat naturale. Quando sono in Inghilterra invece sono un po’ diverso rispetto a quello che sono io come natura. In Italia si vive il calcio 24 ore su 24, ogni persona sa di calcio più dell’allenatore, è un qualcosa di molto latino”. Ma di Milano ha voluto conoscere anche la lingua cosi come dimostrato nella sua prima conferenza stampa in Italia: “Avevo un professore fantastico di italiano. Mi ha insegnato alcune parole tipiche ed è arrivato il pirla“.
All’Inter però Mourinho ha trovato più di una squadra: Quando vedo neroazzurro vedo famiglia. Sono attivo nella chat del Triplete, è come se fossimo stati sempre insieme e come se tutto non fosse accaduto quasi nove anni fa. Ho aiutato tanti di loro dal punto di vista individuale per arrivare al punto più alto della loro carriera, ma loro sono riusciti con me a fare altrettanto”. Una tappa importante è stata la gara contro il Barcellona: “Mi ricordo il discorso motivazionale che ho fatto prima del match, mi è uscito dal cuore. Quando ho vinto la prima Champions League mio figlio aveva 4-5 anni e non si ricordava, in quella stagione mi diceva sempre che voleva vincere una Champions League che mi posso ricordare sempre. Abbiamo parlato di questo coi giocatori, ma facendo riferimento ai figli di tutti e non solo al mio. Per molti di loro era l’ultima opportunità di vincere la Champions League. Abbiamo messo insieme quella sensazione che il Barcellona non avrebbe mai vinto quella partita anche se avessimo giocato cinque ore anzichè un’ora e mezza”.
Lo Special One racconta della telefonata avuta con Ibrahimovic: “Mi disse che doveva andare via perchè doveva vincere la Champions League, io gli ho detto ‘magari sei tu che non la vinci e la vinciamo noi’. Abbiamo trasformato la paura di perdere Ibrahimovic nella consapevolezza di poterlo fare noi”. Per colmare il gap con le altre big in Champions il tecnico sapeva di aver bisogno di un giocatore, Wesley Sneijder: “Non era facile, il Real un giorno voleva vendere e uno no. Io e Oriali però abbiamo sempre deciso che doveva arrivare lui e abbiamo rischiato fino all’ultimo. Abbiamo messo pressione al presidente, che era un tifoso, e all’ultimo momento è arrivato. E due giorni dopo giocava il derby“.
A Siena, contro la Robur già retrocessa, l’Inter era costretta a vincere per guadagnarsi lo scudetto: “Siena è una città fantastica, ogni volta che giocavamo lì io arrivavo e dopo cena mettevo il cappello e mi facevo una passeggiata in centro. Poi ricordo il giorno più difficile della mia vita per vincere un campionato, quello di Siena fu il peggiore. Una settimana dopo avevamo la finale di Champions, faceva caldissimo, giocatori poco concentrati, e la Roma stava già vincendo. Io mi sono sempre detto che mi sarebbe piaciuto vincere uno scudetto all’ultima giornata, quel giorno lì mi sono ricreduto”. Sempre riguardo una partita a Siena, Mou ha raccontato un aneddoto relativo a Maicon: “Mi dicevano che prendeva sempre il quinto giallo per essere squalificato prima di Natale e andare in vacanza in Brasile. Sono andato da lui e gli ho detto che se fosse stato ammonito non sarebbe andato in vacanza, io non sono pirla… Lui mi ha detto, e se segno posso andare? No, solo ne fai due. Ha fatto doppietta, si è fatto ammonire per essersi tolto la maglietta ed è andato in vacanza. Ha anche avuto una settimana in più”
This post was last modified on 24 Aprile 2019 - 15:19