Vedi passeggiare sull’erba di San Siro un uomo elegante, sulla quarantina, con un lungo Montgomery addosso ed una camminata all’insegna delle migliori sfilate di moda della città. Pensi: sarà un ricco tifoso, talmente benestante che si è permesso il lusso di camminare su quell’erba, presente nei sogni di ogni bimbo che non desidera altro che calpestarla. Ha un ciuffo inconfondibile ed una classe fuori dall’ordinario.
Poi, però, ti capita di rivederlo in una conferenza stampa dell’ottobre 2015 ed è tutta un’altra storia: il Montgomery è sparito per la tuta d’allenamento, la tranquillità è rimossa a favore della grinta, ma la concentrazione è quella di sempre. Non era un tifoso, era uno degli allenatori più vincenti nella storia del nostro club: Roberto Mancini. Non sai quando è calmo o quando è nervoso, non conosci il suo stato d’animo, non riesci ad analizzare anche in minima parte la sua psiche; hai poche certezze con lui: ha classe, eleganza ed è un vincente, ovunque vada. Signore e signori, questa è la storia dell’allenatore più elegante passato dai campi di Appiano Gentile, dove ha lasciato qualche bel ricordo sotto forma di Scudetto.
TUTTO INIZIA PER CIRCA 360 EURO
Il 1977 è l’anno della svolta per il tredicenne di Jesi; ad un torneo giovanile, Marino Perani, all’epoca allenatore delle giovanili del Bologna, osserva attentamente Roberto. Tutto si svolge velocemente: la famiglia Mancini fiuta l’occasione ed il piccolo talento marchigiano si trasferisce nella città delle Torri per 700.000 lire, il costo attuale di uno smartphone di una qualità non esattamente eccelsa.
A sedici anni esordisce in Primavera e nemmeno un anno dopo, il 6 settembre 1981, fa il suo esordio in Coppa Italia, manifestazione nella quale detiene il record di presenze, 120. Una settimana dopo esordisce anche in Serie A, andando a referto per la prima volta il 4 ottobre, siglando il gol del 2-2 nella trasferta di Como.
A Bologna è nata una stella: l’anno successivo, ancora minorenne, sigla 9 gol in 30 presenze con i rossoblù. Con la retrocessione in Serie B della sua prima squadra, in Via Casteldebole 10 arrivano centinaia di telefonate per il Mancio, già allora icona di stile tra i campi di calcio. Altro che 360 euro, la cifra del suo secondo trasferimento è decisamente più onerosa..
GENOVA ED IL MANCIO: STORIA DI UN AMORE SENZA FINE
4 miliardi: questa è la cifra spesa per portare Roberto Mancini al Ferraris. Diciamo che riuscirà a ripagare bene la fiducia riposta nei suoi confronti: con i blucerchiati vince 4 Coppe Italia, una Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana e, soprattutto, porta la Samp sul tetto d’Italia per la prima volta nella sua storia, con lo storico Scudetto del 1991. Inoltre, diventa il calciatore con più presenze (566) e più gol (171) con la maglia blucerchiata. Sampdoriani, non gli avete ancora consegnato le chiavi della città?
Con Vialli crea una coppia che fa paura: diventano gli ormai celebri “gemelli del gol” e portano la Samp ad una memorabile finale di Champions League, nella quale si arrendono solo alla rete del blaugrana Koeman ai supplementari. Eroici.
ALTRA SQUADRA, ALTRI SUCCESSI: IL MANCIO BIANCOCELESTE
L’ultima avventura del Mancio sui campi italiani veste biancoceleste. Nell’estate del 1997, infatti, Mancini viene acquistato come volto di punta della nuova Lazio di Sergio Cragnotti, destinata all’Olimpo del calcio nazionale ed internazionale. Alla guida di quella compagine vi era Sven-Göran Eriksson, il quale sarà capace di integrare perfettamente gli innumerevoli campioni della rosa, compresi gli ex blucerchiati Veron e Mihajlović.
La Lazio è una macchina schiaccia sassi: in 3 anni Mancini vince due Coppe Italia (diventando il calciatore ad aver conquistato più trofei in questa competizione, 6), una Supercoppa UEFA, l’ultima edizione della Coppa delle Coppe, una Supercoppa Italiana e quello che è passato alla storia come lo Scudetto del Centenario, conquistato il 14 maggio del nuovo millennio. Quella data è significativa anche per un altro motivo: è l’ultima gara di Mancini con la maglia dell’Aquila all’Olimpico.
PARENTESI FOXES PRIMA DELLA VIOLA
9 giorni dopo annuncia il ritiro dal calcio giocato, ma prima di sedersi in panchina si riserva un ultimo sfizio, giocare in Premier League: a gennaio dell’anno successivo approda a Leicester, ma l’avventura oltremanica è fallimentare: solo 4 presenze in campionato ed 1 in FA Cup, senza reti.
Un’altra parentesi sottotono è indubbiamente quella con la maglia della Nazionale: per il Mancio 4 reti in 36 presenze, senza mai incidere come fatto con le maglie di Sampdoria e Lazio.
Ora, però, bisogna raccontare l’altra vita calcistica di Roberto Mancini, quella che inizia dopo aver appeso gli scarpini al chiodo.
La sua carriera da allenatore inizia a Firenze, dopo qualche mese come assistente allenatore di Eriksson alla Lazio. La sua esperienza alla Viola inizia con diversi malumori da parte della tifoseria, che non lo ritiene ancora pronto per un incarico del genere. Nonostante ciò, la società gli affida l’incarico dopo aver ottenuto il via libera da Gianni Petrucci, allora Presidente della FIGC; Mancini, infatti, era sotto contratto con la Lazio e non avrebbe potuto cambiare panchina nello stesso anno. Grazie alla decisione di Petrucci, però, l’avventura del marchigiano al Franchi inizia nel migliore dei modi.
Alla sua prima stagione in panca, il Mancio conquista il suo trofeo preferito, la Coppa Italia, l’ultima della Viola. La sua esperienza sotto la Fiesole, però, dura poco: l’anno successivo è un fallimento e Mancini si dimette con una media di 1,02 punti a partita. Nel luglio 2002 emerge la nostalgia: Mancini torna alla Lazio.
Rimane esattamente due anni e sei giorni a Roma, prima di approdare nella Milano nerazzurra. Qui, conquista la sua seconda Coppa Italia da allenatore e approda alla semifinale di Coppa UEFA, dove perderà contro il Porto di una vecchia conoscenza nerazzurra..
Il 7 luglio 2004 arriva l’annuncio: Roberto Mancini è il nuovo allenatore dell’Inter.
INIZIA L’ERA MANCINI A MILANO
I nerazzurri arrivavano da una stagione fallimentare, con tre cambi in panchina: prima Héctor Cúper, poi Corrado Verdelli ed infine Alberto Zaccheroni. Il risultato? Inter quarta a meno 23 dal Milan campione d’Italia: serviva una svolta.
La svolta ha un ciuffio inconfondibile ed inizia a portare il montgomery nelle freddi notti casalinghe a San Siro, oltre all’immancabile sciarpa nerazzurra. Le prime due stagioni vedono dei successi “a metà”: nella prima arriva l’ennesima Coppa Italia del Mancio (23 anni dopo l’ultima per i nerazzurri) ed un solido terzo posto in classifica, mentre nella seconda i nerazzurri conquistano la Supercoppa Italiana e si vedono assegnare lo Scudetto revocato alla Juventus per lo scandalo Calciopoli.
La stagione successiva è un trionfo a tutti gli effetti: è la stagione delle 17 vittorie consecutive, del 16esimo Scudetto vinto con 5 giornate d’anticipo. Inoltre, i nerazzurri conquistano il “triplete casalingo“, in attesa di quello continentale: allo Scudetto si aggiungono la Supercoppa Italiana e la Coppa Italia, la decima conquistata da Mancini tra il campo e la panchina.
L’Inter del Mancio è inarrestabile: l’attacco macina gol su gol grazie a Cruz, Adriano e Zlatan Ibrahimović, arrivato dalla Juventus. In più, tutti i reparti sono validi: in porta Toldo e Julio César, in difesa mostri sacri come Samuel e Maicon, a centrocampo Zanetti, Cambiasso e Deki Stankovic.
L’anno successivo racchiude l’ultima gloriosa stagione di Mancini in Serie A: conquista il terzo Scudetto consecutivo, ma all’indomani dell’eliminazione in Champions League il Mancio fa autogol; in conferenza stampa dice: “Non so se tra due mesi sarò ancora qui” e la società, a fine stagione, lo caccia. L’Inter si affiderà a Josè Mourinho e tutti sanno come proseguiranno i successi nerazzurri, ma è doveroso ringraziare il Mancio per aver iniziato un ciclo infinito di vittorie.
FUORI DALL’ITALIA, MA CON GLI STESSI SUCCESSI
Dopo il primo addio all’Inter, Mancini fa conquiste in Inghilterra, Turchia e Russia. Al Manchester City vince la prima Premier dei Citizens dopo 44 anni, oltre al Community Shield e alla sua prima FA Cup. A Manchester diventa un vero e proprio idolo, capace di valorizzare al meglio le qualità di giocatori come il Kun Aguero e Yaya Tourè, bandiere della squadra. Inoltre, in Inghilterra adorano il suo pugno duro e la sua disciplina, come dimostrato dalla lite in allenamento con Mario Balotelli, con il quale ha sempre avuto un rapporto d’amore ed odio.
Se allo Zenit non è riuscito a sfondare, in Turchia ha conquistato la Coppa nazionale, non riuscendo però a battere i rivali del Fenerbahçe. Noi tifosi nerazzurri, però, ricordiamo bene una delle partite del Galatasaray allenato dal Mancio: Wesley Sneijder affossa la Juventus nella gara decisiva per l’approdo agli ottavi di finale, nell’ormai celebre nevicata di Istanbul.
IL NERAZZURRO LO RICHIAMA, MA..
Siamo nel 2014: il Mancio ha bisogno di tornare a casa. Quale momento migliore se non la crisi nerazzurra durante la gestione Mazzarri?
La seconda avventura all’Inter di Mancini inizia con un pareggio nel derby, il che fa ben sperare. La speranza, però, è del tutto vana: l’Inter conclude il proprio campionato in ottava posizione, mancando l’accesso alla qualificazione in Europa League.
L’anno successivo le cose vanno meglio, ma non di molto: dopo un inizio di campionato all’insegna delle vittorie, l’Inter viene avvolta dall’uragano della crisi di metà campionato, che fa sprofondare i nerazzurri al quarto posto in classifica, che non vale ancora la Champions League. Mancini in estate dichiara: “C’è il cento per cento di possibilità che resti all’Inter. Sento la fiducia della società, non è mai mancata. Per me è importante che tutti siano felici: club e tifosi. Sono stato tanti anni qui, abbiamo vinto insieme e non voglio rovinare il rapporto. Tutti devono conoscere gli obiettivi, capire che serve tempo e che non possiamo spendere troppo per i giocatori. Dobbiamo migliorare la squadra con rinforzi che possano far crescere gli altri ragazzi e ridurre il gap, comunque ampio, con le altre squadre “. La realtà, però, è un’altra: il rapporto con l’Inter termina ed il Mancio rimane senza squadra.
NUOVA VITA IN NAZIONALE
Dopo il fallimento della gestione Ventura, ai piani alti a Coverciano cercavano una figura di riferimento per far ripartire la Nazionale Italiana nella maniera più adeguata possibile. Così, il 14 maggio 2018, il Mancio viene scelto come CT; molti, in realtà, pensano che Mancini rappresenti una figura di transizione. Adesso, invece, tutti credono che sia la persona adatta per riportare l’Italia in cima alle competizioni internazionali.
Dopo essersi salvato nel gruppo 3 della Nations League, Mancini porta l’Italia ad un grande inizio nel gruppo di qualificazione ai prossimi Europei del 2020: attualmente gli Azzurri sono primi a punteggio pieno, dopo le vittorie con Bosnia, Grecia, Finlandia e Liechtenstein.
La Nazionale targata Mancini è audace, giovane e talentuosa: Barella, Chiesa, Kean e Zaniolo sono solo alcuni dei protagonisti di queste prime partite dell’Italia allenata dal Mancio. Il futuro è luminoso sui campi di Coverciano.
Sperando di vederlo ancora per molto sulla panchina della nostra Nazionale, Roberto Mancini continua a dimostrare il connubio perfetto: stile e vittorie. Che sia in giacca e cravatta in primavera o in montgomery in inverno, poco importa: il Mancio è sempre una sicurezza e lo testimonia il suo palmarès.
Classe, eleganza e trofei: Roberto Mancini racchiuso in tre parole.