Nemmeno l’indovino Tiresia, se fosse stato catapultato nella Buenos Aires del 1973, avrebbe potuto prevedere il futuro di Javier Zanetti, argentino di nascita ma italiano d’adozione, viste le origini del bisnonno Paolo, di Pordenone. Ma come? L’indovino più celebre della storia dell’umanità non sarebbe riuscito a leggere il futuro di un comune ragazzo argentino? Esatto, perché la vita di Javier Zanetti non è stata pronosticabile fin dalle prime lacrime da neonato.
No, non erano anni facili quelli passati da Javier durante la sua infanzia: torture, omicidi e sparizioni erano all’ordine del giorno negli anni ’70 tra i vicoli di Buenos Aires. Proprio nella capitale del Paese, il 10 agosto del 1973 nasce Javier, figlio di Violeta e Rodolfo Ignacio Zanetti.
Al piccolo di casa si illuminano gli occhi guardando le gesta del Loco Houseman e del Matador Kempes, che trascinano l’Albiceleste alla sua prima vittoria nei Mondiali, giocati per lo più in casa; la manifestazione calcistica del 1978 è stata fondamentale per il popolo argentino, in quanto unica distrazione dai massacri quotidiani per la cosiddetta Guerra sucia. Javier, quando capitan Passarella solleva la coppa davanti ai 71483 spettatori del Monumental di Buenos Aires, non ha ancora 5 anni; eppure sa già quale sarà il suo destino: vuole giocare al fútbol e nessuno lo fermerà dal raggiungere il suo sogno. A dirla tutta, nessuno lo fermava in qualsiasi occasione, come ha dimostrato per quasi vent’anni sull’erba di San Siro.
Il figlio di Rodolfo Ignacio ama il pallone, ma a Dock Sud, dove il piccolo Javier vive, a 33 kilometri dal Monumental, non ci sono campetti da calcio. Così, papà Zanetti ed altri genitori costruiscono con le proprie mani un gioiello, plasmando (nel vero e proprio senso della parola) il futuro del calcio argentino: nasce Disneyland, il magico mondo dove i ragazzi di Dock Sud possono giocare a calcio. Ed è proprio nella formazione del quartiere che Javier macina i primi kilometri della sua carriera: cavalcare la fascia sarà una costante non indifferente per la futura leggenda nerazzurra.
Nonostante si sia innamorato del pallone al Monumental, Javier sognava di giocare in un altro iconico stadio argentino. Costruito nel 1928, è l’impianto calcistico in cemento più antico d’Argentina: è La Doble Visera, la casa dei Diablos Rojos dell’Independiente. Nel 1982, gli amici di Javier continuano a riempirlo di pizzicotti, perché stenta a credere a quello che gli è appena successo: la sua squadra del cuore gli ha appena offerto un posto in squadra e lui non se lo fa ripetere due volte.
Dopo 7 anni tra le file dell’Independiente, però, Javier prova sulla sua pelle quanto la vita possa essere crudele e spietata: mette tutto se stesso nelle partite e negli allenamenti, ma viene scartato per il suo fisico, in quanto ritenuto troppo gracile. È un brutto colpo per Zanetti, che smette per un anno di calcare la fascia destra. Nel periodo di pausa, aiuta suo padre nei cantieri: guadagna esperienza, denaro e, soprattutto, muscoli.
Il richiamo dell’erba tagliata è forte, tant’è che torna a giocare, questa volta nel Talleres, formazione nella quale militava suo fratello Sergio; Javier, però, è un ragazzo con la testa sulle spalle e dai sani principi, così attende il trasferimento del fratello al Deportivo Español per fare un provino nella sua ex squadra, affinché non passasse come raccomandato. Ovviamente, lo prendono: Javier diventa Pupi, ereditando il soprannome del fratello maggiore. Dal 1990 ad oggi, quel soprannome non l’ha mai abbandonato.
Nel mondo dello sport sono molteplici i casi di atleti che affiancano una passione ad un lavoro vero e proprio, per sostenere economicamente la propria famiglia; Carlos Bacca, per esempio, ex attaccante del Milan, lavorava come controllore dei bus prima di indossare i calzettoni. Giannis Antetokounmpo, stella greca dei Milwaukee Bucks, squadra dell’Nba, vendeva accendini per le strade di Atene. Javier fa lo stesso: al pomeriggio indossa la divisa biancorossa del Talleres, ma al mattino vende il latte. Stakanovista, fuori e dentro al campo.
Esordisce con la prima squadra 12 giorni dopo il suo 19esimo compleanno, il 22 agosto 1992 contro l’Instituto Atlético Central Córdoba. In poco tempo diventa titolare ed il 20 marzo 1993, sigla il suo primo ed unico gol con la maglia dei Talleneres contro l’Arsenal de Sarandí. A fine anno, è eletto come miglior terzino della Primera B Nacional, la Serie B argentina. Javier conquista sempre più notorietà, fino ad approdare in Primera División con la maglia del Banfield, che lo acquista per 131.000 euro. Nella prima stagione con la 4 biancoverde, Zanetti colleziona 37 presenze, venendo convocato l’anno successivo dal CT Passarella, uno di quei calciatori che l’avevano fatto innamorare del pallone.
Mentre Javier continuava a scendere in campo in Argentina, dall’altra parte del mondo iniziava ad avere diversi estimatori. Tra essi, spunta il nome di Massimo Moratti, che rimane impressionato da questo giovane talento argentino tramite una videocassetta. Dopo un colloquio con l’osservatore nerazzurro in Sudamerica Antonio Angelillo, il figlio di Angelo Moratti si convince, strappando Pupi Zanetti al Banfield per 6,5 milioni di euro. Nessuno avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo dopo quella presentazione affianco a Giacinto Facchetti e Sebastián Rambert, arrivato anch’esso all’Inter dall’Argentina, sponda Independiente (strana la vita eh?).
Dopo un enorme errore iniziale (aveva preso la numero 7, come ti permetti Javier?!), Zanetti entra velocemente nelle gerarchie di Ottavio Bianchi, che lo fa partire titolare nella prima gara di campionato contro il Vicenza: da una parte Zanetti, dall’altra Roberto Carlos, che decide la gara al 53′. Nonostante la legge Bosman non fosse ancora in vigore (quindi potevano essere schierati solo 3 stranieri in campo), Zanetti acquistò molto spazio nella sua prima stagione in nerazzurro: salta solo due gare in campionato.
L’anno successivo, le prestazioni di Zanetti diventano sempre più importanti per il cammino dell’Inter: i nerazzurri si piazzano al terzo posto in classifica, dietro a Parma e Juventus. Inoltre, arrivano in finale di Coppa UEFA, dove vengono battuti dallo Schalke 04, ed in semifinale di Coppa Italia.
La terza stagione in Italia porta il primo successo. Al Parco dei Principi di Parigi l’Inter sconfigge i gemelli della Lazio per 3-0 e il Pupi lascia il segno: al 60′, Ronaldo batte una lunga punizione dalla destra, Zamorano appoggia di testa e BANG! Zanetti tira un missile terra aria sotto il sette, che non lascia scampo a Luca Marchegiani. Al termine della gara, però, non è lui ad alzare il suo primo trofeo fuori dall’Argentina: per vederlo con la fascia al braccio bisogna aspettare il 28 ottobre 1998. Una partita semplice contro il Castel di Sangro rappresenta l’inizio della leggendaria storia del Pupi Zanetti con l’Inter: IL Capitano.
I successivi anni con l’Inter sono caratterizzati da una costante: Zanetti c’è, c’è sempre e comunque. Nonostante la titolarità fissa del suo Capitano, però, non arrivano i successi. Per tornare grandi bisogna aspettare il 2004: inizia l’era Mancini.
Il primo anno di Roberto Mancini coincide con il secondo trofeo conquistato da Zanetti in nerazzurro, la Coppa Italia vinta andata e ritorno contro la Roma. Al tempo stesso, però, vi è una grande delusione: l’Inter viene eliminata ai quarti di finale di Champions League contro il Milan, che vince sia il derby d’andata che quello di ritorno.
Dal 2005 inizia la stagione dei bottini: sotto la guida del Mancio l’Inter vince 2 Coppe Italia, 2 Supercoppe Italiane e 3 Scudetti. L’ex Sampdoria, però, non riesce a portare i nerazzurri sul tetto d’Europa. Bisogna aspettare il 2010 ed il vate di Setúbal, Josè Mourinho.
Ad Appiano Gentile arriva l’ex allenatore di Porto e Chelsea, pronto a fare incetta di trofei anche con l’Inter. SPOILER: ci riuscirà. Il primo anno è già un trionfo: Scudetto (il quarto di Zanetti) e Supercoppa Italiana, con il rigore decisivo calciato dal Pupi. L’anno dopo, però, è qualcosa di diverso, di magico, a tratti indescrivibile.
Si tratta dell’annata perfetta per la banda di Mourinho, che strappano al fotofinish lo Scudetto alla Roma, battono i giallorossi all’Olimpico ed entrano nell’Olimpo del calcio europeo, con il 2-0 al Bayern Monaco che vale la prima Champions League del Tractor, il Capitano Zanetti, che alza la coppa dalle grandi orecchie in occasione della sua 700esima gara in nerazzurro. Semplicemente immenso.
Quell’anno, a 36 candeline spente, gioca 4.950 minuti, saltando solo le sfide con il Livorno in Coppa Italia e con il Bologna in campionato. Sono finiti gli aggettivi per descrivere il ragazzino di Buenos Aires.
Ma la stagione del bottino non è ancora finita: Mourinho parte, ma i successi rimangono. L’Inter, a dicembre, sale sul tetto del mondo: 3-0 agli africani del Mazembe e tutti a casa. Piccolo particolare: nella semifinale contro i sudcoreani del Seongnam Ilhwa, il Capitano segna la sua ultima rete in nerazzurro, il gol più anziano nella storia della Coppa del Mondo per Club.
Javier Zanetti incarna l’interismo, con passione, dedizione e spirito di sacrificio. La cosa particolare, però, è che queste non sono solo parole al vento, ci sono i numeri a sottolinearlo. Diamo un’occhiata ai pochissimi record del Tractor scolpiti nella storia calcistica nerazzurra:
Bisogna davvero aggiungere altro?
28 aprile 2013: nella casa del Palermo, al 16′, succede il fattaccio, l’impensabile. Quel corpo perfetto, mai lacerato dagli infortuni, alza bandiera bianca: dopo un contrasto con Aronica, Zanetti si mette le mani sul volto e si accascia a terra, lasciando partire un urlo disperato di dolore. Rottura del tendine d’achille: la favola è finita. E invece no, non può finire così. Uno che da Beppe Bergomi era stato definito così al primo allenamento in nerazzurro non può terminare la carriera in questo modo:
“Primissimo allenamento, facciamo possesso palla. Lui non la perde mai, gli resta sempre incollata al piede. Quel giorno pensai che avrebbe fatto la storia dell’Inter”.
Tiresia non avrebbe indovinato nemmeno questa: Pupi torna in campo il 9 novembre 2013 contro il Livorno. Infinito. Pochi giorni prima della sua ultima partita sull’erba del Meazza, commenta così:
“Ho sognato di chiudere la mia carriera all’Inter, la mia casa, ed è un orgoglio poterlo fare”.
Hai detto bene Javier, questa è casa tua, e lo sarà per sempre. Che tu abbia indosso quella maglia numero 4 o un completo elegante che si addica al tuo ruolo di Vicepresidente, poco importa. Non è mai importato l’aspetto esteriore, se non per quell’impeccabile acconciatura. Quello che conta, da quel 13 maggio 1995, è la promessa che ti sei fatto per il resto della tua carriera: dipingere il cuore di nerazzurro. Ti sei comportato bene dai, non ci si può lamentare. Onore a Javier Zanetti, la leggenda nerazzurra.
This post was last modified on 15 Agosto 2019 - 18:31