Immensità: è una parola importante, conferisce grandezza anche solo a leggerla.
Immensità è probabilmente il primo termine che ci viene in mente alla vista delle Pampas, le infinite pianure umide dell’Argentina Centrale. Nelle Pampas si possono trovare degli argentini alquanto particolari: si tratta dei gauchos, il corrispettivo albiceleste dei cowboy americani, che, ovviamente, allevano i bovini e ammaestrano los toros argentinos. I tori del Paese biancoazzurro sono spietati, pericolosi e, soprattutto, sono noti ai più per la loro corporatura a dir poco massiccia.
Nella provincia di Buenos Aires, una delle tante caratterizzate dalla presenza delle vaste steppe del Paese, a fine agosto 1997 nasce un Toro, El Toro. Siamo a Bahía Blanca, a casa Martínez; due giorni prima dell’inizio della Primera Divisiòn, il massimo campionato di calcio in Argentina (che tanto terrà attaccata alla tv la famiglia Martínez circa 20 anni dopo), nasce Lautaro.
Il papà del protagonista della nostra storia, nonostante la vicinanza alle prateria citate in precedenza, non è un gaucho; no, non alleva bovini. Gioca al fútbol, religione di Stato in Argentina. Lautaro segue le orme del padre Mario e tira i primi calci alla pelota nel Deportivo Liniers, club militante nella quinta ed ultima categoria del Paese. Il Toro fa valere il proprio soprannome fin da giovane: grazie alla sua stazza fisica combinata alla spiccata agilità ed al senso del gol (spiegato, come i tori delle Pampas), il ragazzo di Bahía Blanca porta la sua squadra fino alla finale di coppa, persa ai calci di rigore contro il più blasonato Rosario Central a soli 16 anni.
Nel frattempo, i 13 gol siglati nel campionato Under-17 avevano fatto rumore e nonostante i 570 km di distanza da Bahía Blanca, ad Avellaneda avevano drizzato le orecchie. Il 2014 è l’anno della svolta: il Racing Club acquista Lautaro e lui ripaga con 53 gol in 64 presenze con la formazione Under-20.
Poi, avviene un qualcosa di magico, quasi profetico; in Argentina l’hanno definito el paso de la antorcha. Il 31 ottobre 2015 debutta in prima squadra sostituendo un certo Diego Milito, che nella sponda nerazzurra di Milano ha lasciato giusto qualche bel ricordo: predestinato. Da quel giorno Lautaro non esce più dalle gerarchie di Diego Martín Cocca e sigla 27 reti in 60 partite con la maglia de La Academia, con una media di quasi un gol ogni due gare.
È un pupillo del Principe e sta imparando a conoscerlo il Pupi Zanetti.. il suo futuro è destinato a tingersi di nerazzurro. E cosi succede: per 22 milioni + bonus, il Toro arriva a Milano e prende la 10, lasciata orfana da João Mário.
Dopo un precampionato col botto, Luciano Spalletti lo lascia in panchina per qualche partita decidendo di non optare per l’attacco a due punte con Capitan Icardi. Alla prima occasione, però, Lautaro incorna. E lo fa davvero, segnando il suo primo gol a tinte nerazzurre con un colpo di testa contro il Cagliari.
Spalletti non vuole saperne di puntare su di lui, quindi spesso lo lascia in panchina. Il Toro, però, si sa, è un animale paziente, che aspetta ore ed ore pur di incornare il torero. Dopo essersi liberato facilmente del Frosinone con un gol ed un assist, rimane 83 minuti in panchina contro il Napoli. Aspetta, aspetta.. 92′: Brozovic lancia Keita sulla fascia, che crossa in mezzo, Vecino lascia passare e bang: ci pensa il 10 con un sinistro all’angolino. La decide il Toro.
5 giornate dopo sembra di vivere un flashback: trasferta a Parma bloccata sullo 0-0, Lautaro che entra nel finale e la risolve con un golazo. Solo dopo il caos scoppiato attorno alla vicenda Icardi, Lautaro si guadagna il posto da titolare con in mano l’attacco della Beneamata.
Questa stagione, per il Toro, si preannuncia più complicata del previsto: Antonio Conte vuole che lotti in allenamento per giocarsi un posto da titolare affianco a Romelu Lukaku con Alexis Sanchez, la nuova seconda punta nello scacchiere tattico dell’ex Juve.
Ma Lautaro lo conosciamo vero? Uno che a 21 anni ha già fatto infuocare stadi sacri come il Meazza e “El Cilindro”, la casa del Racing; un ragazzo che ha avuto la consacrazione da una leggenda della Avellaneda azulblanca e della Milano nerazzurra; un crack che è pronto a scolpire il proprio nome tra gli argentini indimenticabili dell’Inter. L’ultima cosa che lo preoccupa è un po’ di concorrenza.
Il ragazzo delle Pampas ne ha fatta di strada, ma non ha ancora finito la benzina. Intanto, settimanalmente, si ferma a San Siro per fare rifornimento e per far impazzire di gioia i suoi tifosi. E il Meazza, per il Toro, assume lo stesso significato delle praterie dove è nato: immensità. L’immensa esultanza dello speaker Mengozzi e del popolo interista; l’immensa sofferenza che ogni tifoso interista (per DNA) è costretto a patire; ma, soprattutto, l’immensa responsabilità di vestire quella maglia.
Quel ragazzo delle Pampas, oggi fa 22 anni, ma sembra sul campo già da decenni. Quel campo, San Siro, che ormai è casa sua:
“San Siro è indescrivibile, unico, fantastico. Senti un rispetto ed una partecipazione che non si trova da nessun’altra parte. Quando senti i tifosi cantare c’è una carica pazzesca. Vuoi onorare in ogni secondo la camiseta che indossi”.
L’immensità nei panni di un Toro, firmato Lautaro Martínez.
This post was last modified on 22 Agosto 2019 - 18:35