Javier Zanetti , vice presidente dell’Inter, ha risposto alle domande degli studenti pavesi nell’ambito di “Credenti in gioco: Javier Zanetti si racconta agli studenti”, evento organizzato dalla pastorale Pavese in collaborazione con l’Università di Pavia.
L’ex capitano nerazzurro inizia svelando un aneddoto in merito al proprio rapporto con la fede: “La sera della vigilia della finale di Champions a Madrid. Era difficile prendere sonno, ero in camera con Ivan Cordoba. Sapevamo che quella di Madrid sarebbe stata una botta speciale e così fu. Siamo entrambi molto credenti e devoti a Santa Rita. Il 22 maggio era Santa Rita. A mezzanotte e un minuto mi sono alzato dal letto e abbiamo acceso un cero per lei. Lei è stata vicino a noi e ci ha accompagnato in una delle notti più belle della mia carriera così come in tutta la mia vita. Sono molto devoto a Santa Rita”.
Sulla soddisfazione più grande della propria carriera e su ciò che lo rende orgoglioso: “Di quello che sono, di aver fatto un percorso e di essere rispettato e apprezzato da tutti, non solo dai miei tifosi interisti. Mi piace la definizione di anima operaia, la stessa che avevano i miei genitori che erano persone di grandi valori e umiltà. Mi sento un operaio del calcio come era mio papà che faceva il muratore”.
Sul rapporto con i propri genitori: “Vedevo il calcio italiano in tv e sognavo di giocarci. Esserci arrivato da giovane ha ripagato la mia famiglia dei tanti sacrifici fatti per farmi crescere e non farmi mancare nulla. Ricordo come fosse adesso l’estate del 1995 quando mi arrivò la notizia che mi aveva comprato l’Inter. I miei genitori non avevano mai preso un aereo e ho deciso di portarli con me in Italia. La soddisfazione più grande è stata farli smettere di lavorare. Da allora mi sono preso cura io di loro”
Sul proprio modo di essere capitano: “Ero sempre per il dialogo nello spogliatoio, perché nulla è più importante della squadra. Ero un leader silenzioso, come molti dicevano. Mi piace questa definizione. Lo sapete, mi piace apparire poco sui giornali. Faccio tante cose senza pubblicizzarle”.
Su come ha sopperito agli anni senza vittorie: “Nessuno ti regala nulla nel calcio e nella vita. Senza sacrificio non si vince nulla. I primi dieci anni di Inter sono stati difficili, senza vincere quasi nulla tranne la Coppa UEFA del 98, però non ho mai mollato. Ho Sempre creduto nel lavoro per arrivare a conquistare traguardi importanti. Moratti è un uomo al quale devo tanto e che ha fatto tantissimi investimenti per questa squadra e lo incoraggiavo sempre, dopo ogni delusione di quelle stagioni. Uno dei valori dell’Inter è la resilienza. Ci siamo rialzati sempre”
Sul primo ricordo legato al calcio: “Il primo ricordo è il pallone che mi ha regalato mia mamma quando avevo tre anni. Giocavo nel mio quartiere in Argentina. Vado fiero delle mie origini. Tifavo Independiente in Argentina. Ci bastavano un pallone e due porte e giocavamo ovunque. Giocando facevo da solo la telecronaca ispirandomi alle partite dell’Independiente”.
Sui momenti difficili: “Vi racconto questo episodio sgradevole della mia infanzia. Giocavo nelle giovanili dell’Independiente e mi dissero che ero piccolino e per via del mio fisico non avrei fatto carriera. Tornai a casa piangendo. È stato il momento più difficile, ma mio padre mi ha incoraggiato a non mollare”.
Sul primo giorno da interista: “Presentazione alla Terrazza Martini, era luglio ma c’era il diluvio universale, posso testimoniare che quando piove porta bene. Eravamo io e Rambert, lui era il capocannoniere del campionato argentino ed era più famoso. Io arrivavo come accompagnatore di Rambert. Potevano giocare tre stranieri in Serie A all’epoca: c’erano Paul Ince, Roberto Carlos e noi due. Ho conosciuto Massimo Moratti e mi ha colpito subito il senso di famiglia che trasmetteva. L’Inter intesa come una grande famiglia. È stato un messaggio fondamentale, mi sono sentito subito a casa”.
Sulla fondazione Pupi: “Dopo il calcio è la cosa che mi sta più a cuore. Sentivo che dovevo fare qualcosa per la mia terra, il mio paese e soprattutto il mio quartiere. L’Argentina sta attraversando grandissime difficoltà. Io ho avuto la carriera di fare la carriera che ho fatto e mi sentivo in debito con la mia terra, affinché molti bambini potessero avere un futuro migliore. Abbiamo iniziato aiutando 34 bambini, adesso dopo 18 anni sono più di mille. Devo ringraziare la sensibilità del popolo italiano che ha sposato e aiutato le nostre iniziative”.
Sul giorno più bello e più brutto della sua carriera interista: “Gli inizi sono stati duri. La sconfitta del 5 maggio e la semifinale col Milan di Champions le più dolorose, ma abbiamo avuto la forza di ripartire. La notte di Madrid il momento più bello perché abbiamo realizzato il Triplete, entrando nella storia del calcio mondiale. Siamo stati la prima squadra e finora unica italiana a realizzarlo. Vi confesso una cosa: abbiamo una chat su WhatsApp tra tutti i componenti della squadra del Triplete e ci sentiamo tutti i giorni. A testimonianza di che gruppo unito eravamo”.
Sul rapporto con gli arbitri: “Sempre di grandissimo rispetto, so le difficoltà che hanno e serve che i giocatori diano sempre una mano affinché le cose vadano nel verso giusto”.
Sul rapporto con i tifosi: “Bellissimo con i miei tifosi, ma anche con quelli delle squadre avversarie che mi hanno sempre rispettato”.
Sul razzismo negli stadi: “Il nostro comportamento dev’essere esemplare per combattere la discriminazione. Siamo quasi nel 2020 e servono decisioni drastiche. Ricordo cori e episodi contro Paul Ince che veniva discriminato per il colore della sua pelle, quello che soffriva lui lo soffrivamo tutti. Bisogna essere tutti uniti contro il razzismo”.
Sul rapporto con Moratti e Zhang: “Massimo ha creduto in me quando ero uno sconosciuto. Gli devo molto e ho avuto la fortuna di un rapporto che andava oltre quello tra un giocatore e il presidente. Cosa è cambiato con Zhang? Oggi cerco di fare da unione tra l’Italia e la Cina. Stiamo costruendo una squadra che possa avere i giusti valori e contribuire a fare il bene dell’Inter. C’è una proprietà straniera molto importante e oggi cerco di fare da integrazione tra mondi diversi e trasmettere cos’è l’Inter in Cina. Importante avere competenze e risorse ecomiche importanti, ma si vince quando ci sono persone con valori umani importantissimi. Per fortuna ci sono”.
Sul perchè non ci sono più bandiere nel calcio moderno: “I tempi sono cambiati. Oggi è difficile trovare giocatori che decidono di legare tutta la loro vita a una squadra e a una maglia. Dobbiamo tornare ai valori del passato. Quando un giocatore arriva in un club, deve sentire la responsabilità della maglia che indossa e deve dare tutto per questa maglia. Per me essere stato sempre all’Inter è una cosa di cui vado fiero e orgoglioso. La maglia dell’Inter sarà sempre parte di me”.
Su Conte: “Antonio era un grande avversario, mai un nemico. Ci siamo scontrati tante volte in mezzo al campo da giocatori. Ritengo sia una persona con una grande cultura del lavoro, grande competenza. Ha iniziato questo percorso insieme a noi dando tutti se stesso con grandissima personalità. Parliamo di un allenatore di grandissima esperienza che spero ci possa portare a grandi risultati. Sta facendo un grandissimo lavoro e sta costruendo una mentalità vincente. Sono convinto che Conte ci porterà a grandi risultati”.
Sull’incontro con Papa Francesco: “La fede fa parte di me. È stato un incontro emozionante. Siamo connazionali ed è un appassionato di calcio, ho trovato una persona semplicissima. Questa cosa mi ha colpito moltissimo. Mancava solo il mate e sembravamo nel salotto di casa nostra. Abbiamo parlato del mia fondazione e abbiamo parlato dei giocatori del San Lorenzo di cui è tifoso, si ricordava tutti i giocatori del passato a memoria. Mi ha chiesto di organizzare la Partita della Pace per unire tutte le religioni e tutti i calciatori del mondo. Ce l’abbiamo fatta ed è stata una soddisfazione e un successo bellissimo aiutarlo a trasformare in realtà un suo desiderio”.
This post was last modified on 18 Ottobre 2019 - 23:02